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Welfare aziendale: il potenziale inespresso che può far crescere l’Italia

18
Dicembre 2025
Di Ilaria Donatio

(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
In un mondo del lavoro che cambia più velocemente della capacità delle imprese di adattarsi, il tema non è più soltanto quanto si guadagna, ma come si vive il lavoro. Nel frattempo, i salari reali in Italia faticano a crescere e l’inflazione continua a erodere il potere d’acquisto. È in questo spazio ristretto, dove la retribuzione tradizionale non basta più a migliorare la qualità della vita, che il welfare aziendale può diventare una leva strutturale – non accessoria – per trattenere talenti, sostenere i redditi e aumentare la produttività.

Eppure, il welfare resta un terreno sottoutilizzato. Molte aziende lo considerano ancora un “extra”, mentre per una quota crescente di lavoratori rappresenta un pezzo essenziale del reddito disponibile. Oggi nelle imprese convivono fino a cinque generazioni diverse, con priorità che vanno dal sostegno alle famiglie alle spese quotidiane, dalla mobilità alla formazione professionale. Ignorare questa eterogeneità significa rinunciare a uno strumento che, se ben progettato, può incidere sulla vita dei dipendenti più del singolo aumento in busta paga.

Negli ultimi anni la spinta normativa è arrivata soprattutto attraverso le leggi di bilancio, che hanno progressivamente ampliato il perimetro dei benefit esentasse e semplificato alcuni strumenti. Anche la Legge di Bilancio 2026 si muove in questa direzione, intervenendo sui buoni pasto, con l’obiettivo di renderli più utilizzabili e fiscalmente efficienti. Una misura tecnica, ma significativa: il buono pasto è infatti il benefit più diffuso nelle imprese italiane e, nelle intenzioni del governo, può funzionare da porta d’ingresso verso forme di welfare più articolate.

Resta invariato il principio che sostiene l’intero impianto: ciò che migliora il benessere e la conciliazione vita-lavoro – dai servizi educativi alla cura familiare, fino ai trasporti – continua a godere di un regime fiscale agevolato. Ma l’applicazione pratica resta spesso complicata, soprattutto per le piccole e medie imprese che non hanno strutture HR dedicate. Il risultato è un welfare potenzialmente ricco, ma poco utilizzato o percepito come macchinoso.

È in questa distanza tra possibilità e realtà che si inseriscono nuovi operatori come Coverflex, che stanno provando a trasformare il welfare da insieme di benefit separati a un ecosistema unico, digitale e personalizzabile. Secondo il loro Report Retribuzione 2024, il 63 per cento dei lavoratori considera il welfare “molto utile”, ma tre persone su quattro non sono soddisfatte del piano offerto dalla propria azienda. È il segnale di un problema di accessibilità, non di interesse: piattaforme frammentate, poca flessibilità, scarsa chiarezza su come usare le risorse. 

«Il nostro Report 2025 mostra che quasi l’80 per cento dei lavoratori giudica inadeguato il proprio pacchetto retributivo. È il segnale che il welfare non è più un accessorio, ma un asse strategico del patto tra impresa e persone: integra il reddito, protegge il potere d’acquisto e rafforza fiducia e retention», osserva Chiara Bassi, vicepresidente Global Public Affairs di Coverflex.

Coverflex propone un portafoglio digitale che riunisce buoni pasto, fringe benefit e rimborsi welfare, ampliando al tempo stesso la rete di esercizi e servizi utilizzabili. L’obiettivo è ridurre gli attriti amministrativi, aumentare la libertà di scelta dei dipendenti e garantire alle aziende risparmi fiscali e gestionali, soprattutto nelle PMI. Per molte imprese la vera difficoltà non è tanto finanziare il welfare, quanto aiutare i lavoratori a diventare consumatori consapevoli, capaci di leggere le complessità di vita, lavoro e mercati. «L’educazione finanziaria è decisiva: significa non solo comprendere gli strumenti finanziari e rimuovere lo stigma dell’indebitamento, ma soprattutto guardare allo stipendio nella sua totalità, includendo il welfare. Una piattaforma come Coverflex può diventare il motore di questa consapevolezza, riducendo lo stress finanziario e aiutando le persone a usare meglio le risorse disponibili», aggiunge Bassi.

Guardando avanti, la questione è se il welfare aziendale diventerà finalmente una parte integrante dell’architettura retributiva italiana. Con salari fermi, produttività stagnante e un mercato del lavoro che chiede maggiore attenzione al benessere, lo spazio per crescere c’è. Ma perché non resti solo una promessa, serviranno strumenti più intuitivi, norme più chiare e una strategia condivisa tra governo e imprese.