Politica

Il Piave non mormorò. È una Caporetto. Il Pd ha straperso le elezioni. Letta sul punto di lasciare

26
Settembre 2022
Di Ettore Maria Colombo

Il Piave non c’è più. Resta solo la Caporetto: ieri notte si materializza il peggiore incubo dem

Certo, la vittoria del centrodestra è indubitabile. Una brutta botta, non c’è molto da girarci intorno.

Ma non c’è solo quella, a tormentare il povero Pd. Maggioranza di governo, e pure ben salda, in entrambe le Camere, in mano al centrodestra, con FdI che brilla di luce propria, al 25% e rotti. Meloni che, di notte fonda, fa un discorso pacato, da vera statista, moderato, cita pure S. Francesco. I 5Stelle che dilagano al Sud: non sfondano altrove ma sono a un’incollatura sola dai dem. Il Terzo Polo che non sfonda, ma pure lui c’è (8%). Gli alleati minori che rosicchiano voti e seggi.

L’incubo peggiore che poteva materializzarsi, davanti agli occhi esterrefatti, del Nazareno, è fatto di tanti, piccoli e grandi, drammi e dolori. Si materializzano, prima ancora che davanti ai teleschermi, davanti ai sondaggi riservati che ‘girano’, in modo vorticoso e frenetico, su WA. I pochi che facevano ben sperare erano tutti fake.

Quelli ‘veri’ –stiamo parlando solo di exit poll, non di proiezioni vere: arriveranno solo di notte – sono, invece, disastrosi. Al Nazareno regna lo sgomento. I partiti ‘minori’ manco si fanno vedere: ognuno se ne resta a casa propria. Ma anche i ‘nanetti’ inglobati nel Pd e cui il Pd ha ‘regalato’ seggi (Psi, Articolo 1, Demos) vengono. Cori ingrati. I dirigenti dem, e Letta, restano da soli, ma Letta è il più solo di tutti.  

Una sconfitta peggiore di quella di Renzi 2018 e la più disastrosa della storia della Sinistra

Certo è che la sconfitta che si staglia all’orizzonte – per Letta, la sua segreteria, il suo partito – è netta, rotonda, totale. Una vera, storica, disfatta. Nel 2018, al culmine dell’era Renzi, il Pd prese, sia alla Camera che al Senato, il 18,7%: non c’era stato il taglio del numero dei parlamentari, ma l’affluenza (72,9%) era stata molto più alta di ieri, il che vuol dire che quello che Letta definì, e più volte, “il peggior risultato nella storia del Pd e della storia della sinistra italiana”, l’era Renzi, è una cifra elettorale che, vista con gli occhi di oggi, diventa quasi tonica, fresca, rinfrancante.

In pratica, il Pd attuale, quello di Letta, che ha inglobato, al suo interno, Articolo 1 (la ex Leu, che nel 2018 valeva il 3,5%), il Psi (valeva lo 0,5%) e Demos (non valeva nulla), non si muove di una virgola decimale dall’aborrito Pd di Renzi e con una percentuale di votanti assai più bassa (65% contro 72%, quindi con molte più chanche).

Il 19% è una debacle del Pd, da tutti i punti di vista. I parlamentari saranno un numero davvero esiguo, quasi imbarazzante (32-38 al Senato, 60-75 alla Camera). Pure la coalizione è stata un flop, anche perché puramente elettorale e mai politica. Gli elettori lo hanno capito fin troppo. Si ferma, il centrosinistra, al 25-26%. Nel 2018, certo, fu un disastro, dato che si fermò al 22,8%.

Ma i partiti ‘fratelli’ sono andati pure loro malino: Impegno civico di Di Maio polverizzato, sotto l’1%, con i suoi voti letteralmente ‘buttati’; +Europa che, a malapena, agguanta il 3%, inutile; Verdi e SI restano i soli a superare bene il 3%.

Per trovare risultati simili e similmente drammatici bisogna tornare al Pds di Achille Occhetto che, nel 1994, prese il 20,3% (ma, come coalizione, arrivò fino al 32,9%) e al 1948, quando Pci e Psi, uniti nel Fronte democratico popolare, presero soltanto il 30,9% dei voti validi. Una sconfitta storica, oltre che assai poco epica.

Il problema è che l’asticella iniziale era alta: il Pd puntava al 30% e il centrosinistra alla vittoria. Restare sopra il 20% rappresentava la linea del Piave, sotto è una, devastante, Caporetto. Le richieste di dimissioni, per Letta, diventeranno pressanti e il congresso anticipato è già alle porte.

Serracchiani e Boccia non riescono proprio a dire: “Abbiamo sbagliato e abbiamo perso”

“Non possiamo non attribuire la vittoria alla destra”, dice, esausta, echeggiando Montale (“Solo ciò possiamo dirti: cosa non siamo, cosa non vogliamo”), all’una di notte, la democrat Deborah Serracchiani, davanti ai tantissimi giornalisti presenti. Sono circa trecento, dai giapponesi agli svedesi non manca nessuno, ma molti sono quelli piccati e scocciati, hanno sbagliato indirizzo e location: dovevano andare al Parco dei Principi, da FdI, sono finiti qui, al Pd, che è come essere invitati, la notte di Capodanno, alla festa sbagliata, quella per sfigati, ed è la loro.

Tornando alla (simpatica, brava, perbene) Deborah, la sua è una doppia negazione, un fine barocchismo, per evitare di fare un’affermazione semplice: loro hanno vinto, noi abbiamo perso.

Ma peggiore della tristezza, come sentimento, c’è la sicumera. Nella “notte più buia” della vita e dei risultati del Pd dell’intero secondo dopoguerra (escluso, ma quasi raggiunto, il 18,7% raggiunto nel 2018 dal Pd di Renzi), parlano in due. Uomo/donna, tipica scuola dem. La capogruppo uscente del Pd alla Camera, Deborah Serracchiani, come già detto, e il responsabile Enti Locali del Pd, Francesco Boccia, assai comodamente seduto negli studi di Bruno Vespa. La prima è triste, mesta, si vede, lo dice da sola. Il secondo, invece, è ilare, giulivo, facondo. Stare in tv gli piace, e si vede pure qui. Lei, invece di riconoscere la batosta elettorale evidente, attacca il risultato “pessimo” della Lega, quello “modesto” del Terzo Polo. Non gli esce un “abbiamo perso, sbagliato, scusateci”. Niente. Solo che la voce e il volto – cupi, tristi – tradiscono le parole, solo fintamente combattive.

Boccia, invece, è come Fonzie: non solo non sa pronunciare la parola ‘scusa’, ma irride, in studio, gli avversari, fa l’opinion maker, assicura che dal Sud – dove il Pd, secondo i flussi, è ridotto al 12-14% e al ruolo di terzo partito dopo M5s e FdI – “partirà la riscossa”. Assieme a Conte, ovvio, che Boccia – come il governatore Michele Emiliano ci è proprio amico-amico di Conte, e personale.

Il segretario va nel suo ufficio, ma è semi-solo

Enrico Letta, invece, tace. Il segretario è arrivato alla chetichella, ma tardi, dopo la mezzanotte, si è chiuso nel suo ufficio con i (pochi) fedelissimi, tra cui Marco Meloni, il suo capo segreteria. Il suo ufficio è al secondo piano. Al terzo c’è la terrazza, di solito si gode da lì una vista mozzafiato, straordinaria, sui tetti di Roma, ma è buia – del resto, è notte, una cupa, triste, notte romana – e 300 giornalisti di tutto il mondo che, però, vengono lasciati a bocca asciutta, poveretti. Niente Letta, si devono accontentare di Deborah.

Dopo aver votato, nel suo quartiere, a Testaccio, con la moglie, l’ex professore di Sciences Po’ a Parigi (la battuta più ovvia, tra i dirigenti dem è: “aiutiamolo a farvi presto ritorno”), è andato a messa. Ma la benedizione non è servita a nulla.

Il clima e l’umore è quello che è: mesto. Gli exit poll girano di cellulare in cellulare, WA in WA, sono quello che sono: pessimi. Per giorni il Pd – e lui stesso – hanno ‘creduto’ nella rimonta e avevano pure fissato la ‘linea del Piave’, il 20% (un mese fa il Pd puntava a fare, da solo, il 30%, vabbé, amen, bei tempi, quelli di un mese fa…), invece è arrivata la rotta di Caporetto: 19.3% per Rai-Opinio (quinta proiezione della notte, per il Senato, e 19.4% alla Camera, per la sinistra è la stessa cifra presa dal Pd di Renzi nel 2018), pure il 19.3% per SWG, peggio si sentono per gli altri.

I numeri (impietosi) del Pd e del centrosinistra

La coalizione è messa un pochino meglio: 26,3% per Rai-Opinio al Senato, 26,3% alla Camera (e Pd al 19,4%) solo 25,5% per SWG (al Senato), ma tutto e solo grazie allo ‘scatto di reni’ di Verdi-SI, stabili al 3,5 (Camera) e 3.4% (Senato). +Europa balla sul filo del 3,0%, alla fine ce la fa, Impegno civico sta sotto un’imbarazzante 1%, abbondantemente, intorno allo 0,6%: voti inutili con Luigi Di Maio che perde pure il suo collegio, quello di Napoli-Afragola, smacco nello smacco.

Per quanto riguarda i seggi, il Pd avrebbe 32-38 seggi al Senato e 60-74 alla Camera. Pochissimi. Poi ci sono 10-16 seggi a Verdi-SI alla Camera e 5-9 seggi al Senato, che non sono pochissimi, anzi. Bonelli e Fratoianni, di notte, da un lato sono più onesti e riconoscono la brutta verità (“Avemo perso”), dall’altro gonfiano il petto (“ora ricostruire la sinistra, allearsi con Conte”). Insomma, la sinistra-sinistra se ne va per conto suo. Ne arrivano pure, di seggi, per Più Europa: 2-12 alla Camera, circa 5 (forse) al Senato. Ma loro faranno asse, più facilmente, con Calenda, il loro antico amore, che con i ‘sinistri’ cocomeri, con i quali non hanno mai avuto a che spartire.

Zero seggi, ovviamente, per IC-Di Maio mentre si salva Tabacci, grazie all’uninominale, ma non Di Maio e Casini, candidato dal Pd. Senato dove il Pd vince in soli tre collegi uninominali tre, tra Bologna e Firenze, su ben 74. Tre pallini ‘rossi’ in un mare di blu e qualche macchiolina di giallo, dato che persino il M5s ne prende di più (4-5). Una disfatta epica, storica, totale e globale. Una debacle peggiore anche di quella del 2018.

La ‘sottile linea rossa’ è stata ormai infranta. Al Sud il Pd non c’è più, nelle zone rosse pure

La ‘sottile linea rossa’ tra la ‘tenuta’ dello ‘zoccolo duro’ (come si diceva ai tempi del Pci-Pds-Ds) e una sonora batosta, o una debacle, è stata decisamente, e tragicamente, superata. Solo il 20% e più, se mai fosse arrivato, poteva ‘cambiare verso’ alla narrazione che il Pd avrebbe potuto offrire al suo popolo e anche a tutti i media ma è stato solo un continuo rinculo verso il basso.

Inoltre, i 5Stelle sono a un passo e un fiato (16%) con Conte più che ringalluzzito e che, ora, vuole venire a dettar legge nella disastrata casa altrui. I 5Stelle sono il primo partito, al Sud, poi c’è FdI, il Pd è solo terzo, con percentuali risibili (12-14), anche nel NordOvest e NordEst il Pd è in rotta, nelle ex zone rosse tiene, ma sempre più sbiadito. E ahi voglia il Pd a dire che “nel Sud l’alleanza con i 5Stelle può diventare forte e maggioritaria”, il Pd è, ormai, un ex gigante dai piedi d’argilla.

Persino le elezioni siciliane mandano un pessimo segnale: la candidata del centrosinistra, la Chinnici è solo terza, superata pure da De Luca (Cateno) con i 5Stelle a un’incollatura appena. Il seggio uninominale di Luigi Di Maio, nella notte, pencola paurosamente e, poi, finisce per perderlo. Insomma, il Sud che invoca Boccia non sembra portare buone nuove, nella notte, ma solo cattive.

La lotta per la segreteria già da ieri è partita

Proprio il rapporto con i 5Stelle è il busillis: con metà del partito che non vede l’ora di poterli riabbracciare (la sinistra: Orlando, Provenzano, Cuperlo, l’ideologo Bettini, ma oltre a loro pure Speranza e, dietro , Bersani e D’Alema) e rimprovera a Letta di non averci fatto l’alleanza che poteva salvarli tutti, a Conte e pure a loro. E l’altra metà che li detesta (Guerini e Lotti, ma anche OrfiniFranceschini non si capisce ancora bene, ma dipende: lui sta sempre con chi vince, si chiama ‘Giu-Dario’ mica per caso). Il resto è noia, cioè personaggi minori che contano zero.

Letta, poverino, sta nel mezzo, ma è già divenuto un asino di Buridano: prende calci da tutti. Uno sport tipico, dentro il Pd. A campagna elettorale ancora al foto finish, con Letta che chiedeva “unità e compattezza”, Stefano Bonaccini ha lanciato, a Rimini, un’iniziativa senza simboli del Pd, solo con tanti ‘tricolori’, con molti sindaci di molte città (Nardella, Gori, Gnassi, Decaro), per autocandidarsi, di fatto, al post-Letta. Lui, certo, vorrebbe resistere, ma oltre a Bonaccini, che ha l’appoggio di Base riformista (gli ex renziani), molti sindaci, una rete locale già organizzata, si vogliono buttare nella mischia pure altri due sindaci: Dario Nardella (forse) e Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, sicuramente, con la sua rete ‘alternativa’ di sindaci progressisti, quella di Ali.

I candidati della destra (Bonaccini) e della sinistra (Schlien) e gli outsider (Matteo Ricci)

A sinistra, capita la mala parata, hanno capito che è meglio evitare, contro il ‘cavallo di razza’ Bonaccini di mettere in campo candidature deboli come fu quella di Orlando contro Renzi nel 2019: sarebbe quella di Peppe Provenzano. L’alternativa è l’astro nascente della sinistra ‘radical’, engagé, dei diritti 4.0, quella di Elly Schlein. Lesbica, super-compagna, donna, giovane, metterebbe insieme tutti, a sinistra, e avrebbe pure la benedizione di Letta. Il quale, nella notte, resta solo insieme a Meloni e al suo staff. Come nel 2015, quando Renzi gli suonò la campanella, Letta è di nuovo solo, nel suo Pd. Conviene torni davvero a Parigi. Basta amarezze. Lui ci pensa, di nuovo, e seriamente. Dopo neppure un anno (arrivò a febbraio 2022, poco prima dell’arrivo di Draghi al governo), potrebbe riprendere la via ‘di casa’. Parigi, o cara, un bel dì vedremo. Letta sta per rivederla. Meglio così, del resto. In Italia non ne val la pena, di rovinarsi il fegato per tutti sti’ ‘cori ingrati’…

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