Salute

Carcinoma ovarico, sappiamo cosa fare. Serve azione

17
Settembre 2024
Di Giampiero Cinelli

Il carcinoma ovarico è una delle principali insidie per le donne. Rappresenta il 30% delle neoplasie ginecologiche e secondo i dati del Rapporto Aiom, I numeri del cancro in Italia 2022, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è del 43%. Anche perché spesso viene rilevato in stato avanzato, dando sintomi lievi e confondenti.

Il lavoro svolto
Negli anni però abbiamo assistito a evidenti progressi, in termini di perfezionamento dei farmaci e di messa a punto di test di predisposizione genetica. Manca tuttavia uno screening che possa dare indicazioni più specifiche basandosi su esami biometrici a 360°. Gli strumenti a disposizione sono comunque decisamente validi, il problema è che l’accesso alla prevenzione e alla cura è disomogeneo a seconda delle regioni. Ecco perché il documento di proposte per migliorare la disponibilità di trattamenti avanzati, 6 punti per una policy ottimale nel servizio sanitario nazionale, elaborati dall’Ovarian Cancer Committee Board (Occ), un organo in cui hanno contribuito scienziati, associazioni delle pazienti e istituzioni, con il supporto di AstraZeneca.

Di questo si è parlato oggi al Senato, in sala Caduti di Nassirya, in una conferenza stampa promossa dalla senatrice Elena Murelli (Lega), che ha partecipato ai lavori del board dell’Occ.

Le necessità
La senatrice ha ribadito l’importanza di sottoporsi al test genetico per la mutazione dei geni BRCA 1 e 2, direttamente coinvolti nello sviluppo del tumore, così come è centrale anche il test HRD, che individua le cellule non in grado di riparare i danni al Dna. Entrambi questi esami hanno criteri di rimborsabilità e tariffazione differenti a seconda del territorio dove si risiede e l’HRD non è coperto dal sistema sanitario nazionale.

Vi sono poi dislivelli nella capacità delle varie regioni di eseguire i test, motivo per cui Elena Murelli ha sottolineato l’importanza della riorganizzazione dei laboratori sanitari e dell’impiego di maggiori risorse pubbliche per esentare le donne dalla spesa, dato che nel caso del carcinoma ovarico la predizione genetica è un criterio diagnostico assolutamente affidabile e non trascurabile. A maggior ragione per il fatto che la mutazione del gene implicato nel carcinoma ovarico aumenta di molto il rischio di avere tumore del seno e dell’ovaio.

I numeri
L’assoluta attenzione è giustificata dai numeri: come ha evidenziato Domenica Lorusso, Direttrice della Ginecologia Oncologica di Humanitas San Pio X, nel nostro Paese su 5.200 diagnosi all’anno, più della metà portano alla morte, anche se gli ultimi farmaci creati hanno effetti fino a poco tempo fa impensabili: tra i più usati ci sono i Parp-inibitori che hanno effetti sui danni genetici e ritardano recidive e avanzamento. Oggi si è capito come far cronicizzare il morbo in modo da dare maggiore aspettativa di vita, arrivando a sei anni di sopravvivenza come osservato in pazienti miste. Il ruolo dei medicinali è cruciale, soprattutto perché quelli di ultima generazione sono adattati ai vari tipi di carcinoma sulla base della specifica alterazione molecolare.

Le mancanze
Molto di più si otterrebbe, abbattendo le differenze territoriali: solo 7 regioni offrono un piano diagnostico terapeutico e 286 centri fanno meno di venti interventi chirurgici l’anno. Per il tumore ovarico l’esperienza nell’intervento è particolarmente necessaria ed è consigliato di optare per un centro che faccia almeno 100 interventi l’anno. Solo 3 strutture in Italia rispondono a questi requisiti, mentre 11 strutture vanno da un massimo di 89 a un minimo di 50 interventi l’anno. Numeri preziosi esposti da Sandra Balboni, Presidente di LOTO Onlus.

La chirurgia di riduzione del rischio
La chirurgia preventiva, ossia l’asportazione delle ovaie e del seno, oggi è una delle scelte più sostenute dai medici, eppure solo otto regioni hanno approvato un piano diagnostico e terapeutico per la gestione dell’alto rischio, inoltre anche in presenza di tale piano, non tutte garantiscono l’esenzione. Un nodo evidenziato da Ornella Campanella, Presidente di ABRCAdabra ETS. Secondo Campanella questa situazione nuoce soprattutto ai pazienti delle categorie sociali più fragili ed è per questo che ha invocato l’inserimento della chirurgia preventiva nei LEA (livelli essenziali di assistenza).

Servono risorse
Carmine Pinto, Head Medicai Oncology Comprehen­sive Cancer Centre dell’Azienda Usl – Irccs di Reggio Emilia, ha posto l’accento sull’importanza dell’informazione, che convinca quante più donne a richiedere il test. Pinto si sta occupando di un decreto ministeriale che libererebbe dagli uno ai tre milioni di euro, utili a coprire, almeno in parte, i costi dei test genetici oltre che a coordinare meglio i laboratori. Per sollevare le donne dalla spesa servirebbero 5.550 milioni. Il decreto è stato sottoposto alla Conferenza delle Regioni, alcune delle quali hanno già dato feedback positivi.

In conclusione sono stati illustrati i 6 punti della policy stilata dall’Occ:

  • 1) Identificare i requisiti dei laboratori deputati al test Hrd.
  • 2) garantire la rimborsabilità e l’accesso omogeneo al test Hrd con pianificazione terapeutica personalizzata.
  • 3) garantire una presa in carico globale che contempli istruzioni per la prevenzione, diagnosi, terapia e follow up.
  • 4) Adottare con celerità i criteri di valutazione dell’idoneità dei centri diagnostici.
  • 5) predisporre in tutte le regioni l’esenzione D99 per chi ha ricevuto una diagnosi precoce e ha accertato una eredità familiare per la malattia.
  • 6) Inserire nei LEA la chirurgia di riduzione del rischio.

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