Politica

Mes, il governo cerca di rimandare la discussione a dopo l’estate

26
Giugno 2023
Di Giampiero Cinelli

Aleggia nella maggioranza di governo la volontà di rimandare la discussione sulla ratifica del Mes a settembre. Verrà proposto nella conferenza dei capigruppo mercoledì e già il Pd (firmatario del testo sulla ratifica) sta facendo clamore. I membri del governo però hanno motivato l’eventualità con il fatto che il giorno prima della discussione, 29 giugno (e anche il 30) Giorgia Meloni sarà al Consiglio europeo e non sarebbe il caso di discutere l’approvazione di un trattato internazionale quando il premier è impegnato in altro.

Un alibi anche ragionevole che tuttavia non può celare il momento di forte tensione che sta investendo la classe politica nazionale, non solo dal lato dell’opposizione ma anche da quello della maggioranza, perché, bisogna dirlo, non tutto il governo ha la stessa sensibilità sulla faccenda del Fondo “salva-Stati”. Non piace certamente a Fratelli D’Italia e Lega, ma in Forza Italia non è mai stato visto con particolare criticismo e l’ala più moderata della Lega, di cui è simbolo l’attuale ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, non avrebbe remore nel cercare una mediazione, magari in cambio di condizioni utili riguardanti differenti fronti come il Pnrr o RepowerEU.

Più netta la posizione del leader della Lega Salvini, il quale lascia intendere la sua visione generale sulle politiche finanziarie europee: «Non ritengo che ci sia bisogno di mettersi in mano a Fondi stranieri e a soggetti stranieri anche perché 600.000 italiani nei giorni scorsi hanno sottoscritto i buoni del Tesoro per più di 18 miliardi di euro». Se non fosse chiaro, il ministro delle infrastrutture dice che in caso di necessità è più utile rivolgersi tradizionalmente ai mercati, cercando di incanalare i capitali nel circuito prettamente nazionale. Ci sarebbe poi, comunque, la consapevolezza che un intervento diretto e tempestivo della banca centrale è ovviamente più efficace di quello di un Fondo. Anche se si tratterebbe della Banca Centrale Europea, la quale non prevede nel suo statuto la monetizzazione dei debiti pubblici ma che, tuttavia, in questi anni ha scelto di intraprendere operazioni assimilabili, pur non violando lo statuto. Si veda ad esempio il Quantitative Easing o il piano di acquisti anti-pandemico. Lo sa anche Claudio Borghi, leghista ed economista, il quale dichiara: «Non voteremo mai una cosa del genere, altrettanto farà tutta la Lega, in coerenza con dodici anni di battaglie».

Eppure secondo alcune indiscrezioni, anche in FdI ci sarebbe chi storce il naso per l’approccio della Lega, che metterebbe in difficoltà la Meloni. Frasi del genere presuppongono l’idea che il governo prima o poi cederà e darà l’ok alla ratifica, perché non può essere altrimenti se si vuole ottenere qualcosa sul resto dei dossier economici. Ma queste voci suonano pure anche maligne, come a dire che la resa è già in programma e deve essere solo preparata e presentata bene, per ragioni di propaganda politica.

Se vogliamo fare i retroscenisti non possiamo escludere neanche questo, ma intanto non si può non rilevare la sostanza: l’Italia sta coraggiosamente intralciando la ratifica di un trattato europeo, il cui varo non significherebbe nemmeno la sua automatica attivazione, a quanto pare in virtù di convinzioni opinabili ma forti, di valutazioni da discutere ma anche da rispettare. Si nota, invece, che negli ambienti culturali e intellettuali la linea del governo è biasimata e sprezzata. Facile per chi, probabilmente, non avrà letto neppure un paragrafo di questa riforma. Un’Italia così coriacea in campo europeo non si era forse mai vista. Magari perché il tavolo del Mes non è percepito come davvero compromettente e può attendere. Tuttavia le pressioni di Bruxelles ci sono e si sentono. Se mercoledì passerà il rinvio i toni della vicenda saranno un po’ più chiari.