Politica

La Renzeide

19
Gennaio 2021
Di Redazione

di Claudio Velardi

 

La Renzeide – ascesa, imprese, errori e declino di Matteo da Rignano – minaccia di ossessionarci più che mai, dopo il prossimo voto parlamentare. Carovane di politici mediocri, giornalisti in subappalto, intellettuali corrivi e commentatori del nulla aggiornano ora dopo ora il già infinito catalogo di banalità per infierire da sciacalli (l’espressione è forte, ma ci sta) sulla sua carcassa. Ricorrendo quasi esclusivamente a considerazioni sul suo “carattere”, fonte inesauribile di chiacchiere da allegre comari di Windsor, consigli da psicanalisti d’accatto e alati ammonimenti di statisti prêt-à-porter: ecco la fine che fanno gli arroganti antipatici boriosi narcisi retorici manovratori autocentrati inaffidabili etc…

Nessuno, dico nessuno dei soggetti di cui sopra pone in questi giorni l’unica domanda che avrebbe senso farsi, che è la seguente: ma com’è che questo essere abominevole ha visto la luce? Come ha potuto occupare prepotentemente la scena politica, conquistare in un batter d’occhio un partito strutturato e portarlo al 40%, diventare presidente del Consiglio e governare (a mio avviso bene, ma questa è un’altra storia) per anni? E come e perché – dopo il campionario di errori fatali, sconfitte rovinose e il manifestarsi dei più vari disturbi della personalità che gli vengono attribuiti – nel 2021, valendo il famoso 2% se gli va bene, è ancora lì a rompere i coglioni ad un paese che, evidentemente, senza di lui andrebbe a mille?

Mi permetto sommessamente di proporla io, una risposta. Semplice semplice. Nei primi anni ’10, molti (compreso chi scrive) videro in Matteo Renzi una sfida interessante e coraggiosa ad un sistema che era, ed è, morto e decrepito. Poi lui ha fallito e ha perso la sfida, ma intanto il sistema fa più schifo (ma molto più schifo) di prima. Quindi – nelle mie blande e distaccate simpatie politiche – io sostituirò Renzi con un altro quando verrà fuori qualcuno a dire ai quattro venti che le istituzioni sono da rifare punto e da capo, che lo strapotere giudiziario va arginato, che la burocrazia è un mostro da combattere senza sconti, che il mercato è l’unico strumento che abbiamo per fare crescere un paese che crede alla gigantesca fake news del liberismo trionfante. Tutte cose di cui Renzi si è concretamente occupato quando ha potuto, con competenza e alcuni buoni risultati. E che oggi sono del tutto escluse dal dibattito pubblico (e non ditemi che c’è la pandemia, perché i temi di cui sopra andrebbero affrontati forse più che mai in questa emergenza).

In conclusione di questa piccola invettiva: a me di Matteo Renzi non frega una mazza. Peraltro ho visto da vicino diversi cosiddetti leader, politici o di impresa, per ritenermi presuntuosamente in grado di riconoscerne capacità, potenzialità, difetti e limiti, e sapere che non cambiano. Ad uno di loro ero legato, la sua lunga frequentazione mi ha insegnato che perdersi nella loro psicologia è una stupidaggine. I leader sono esseri affascinanti e fragilissimi. Hanno una marcia in più ma si perdono sempre nei loro narcisismi. Noi dovremmo solo tenerceli cari, proteggerli da loro stessi e utilizzarli come taxi. Perché solo leadership forti portano una nazione o un’azienda verso il futuro. Mentre quelli che balbettano di squadre e condivisioni, buoni solo a consigliare prudenza e temperanza, sono dei modesti travèt, che non avendo doti di leadership combattono quelli che le hanno.

Purtroppo l’Italia abbonda di soggetti simili perché è una nazione storicamente declinante (a questo proposito parlano i fatti, i dati bruti), almeno dagli anni ’80. E’ da allora che tutte le leadership nascenti (Craxi, Berlusconi, Renzi, finanche D’Alema per un breve periodo) vengono uccise in fasce o contrastate con ogni mezzo. Siamo e ci percepiamo sempre più come un paese sconfitto e depresso, per questo siamo invidiosi e malmostosi, e godiamo a trascinare nel gorgo chi tenta di emergere. Non mi avrete, nel mio piccolissimo.

 

 

 

photo credits: The Times