Politica

La crisi di governo porta male. I 5Stelle rischiano la sindrome Fini e Bertinotti

18
Luglio 2022
Di Ettore Maria Colombo

I ‘campioni’ delle crisi: Fini, Bertinotti, Salvini
Gianfranco Fini, ben due volte (1995 e 2009) e, soprattutto, Fausto Bertinotti, altre due volte (1996 e 2008), anche se la seconda in “condominio” con Clemente Mastella. In più, Matteo Salvini che, nel 2019, fece cadere il governo Conte I, di cui la Lega faceva parte, anche se, tecnicamente, quest’ultima volta non seguirono urne anticipate, ma un nuovo governo (il Conte III) e  un evidente crollo nei sondaggi: la Lega passò dal 30% del 2019 al 15% circa di oggi. In ogni caso, siamo ancora dentro la cornice della stessa legislatura, la XVIII, iniziata a marzo del 2018 e che si dovrebbe chiudere, in teoria, a marzo 2023, sempre che non si voti ad ottobre, ove mai, mercoledì prossimo, le dimissioni di Draghi dovessero diventar davvero ‘irrevocabili’. Quindi, il ‘caso Salvini’ non fa ‘giurisprudenza’. 

“Chi la fa l’aspetti!”. Non porta bene aprire le crisi di governo…

Invece, per gli altri due, trattasi di ‘campioni’ indiscussi – Fini e Bertinotti – in fatto di crisi di governo e scioglimenti anticipati delle Camere. A leggere i risultati elettorali delle urne successive, però, a nessuno di loro è mai andata troppo bene. Non a caso, “chi la fa, l’aspetti” recita un vecchio detto popolare che, mutatis mutandi, trova la sua conferma anche in politica, almeno quella italica. Detto che, in buona sostanza, si può tradurre così: chi fa cadere il governo e comporta la relativa corsa verso le elezioni anticipate viene sommerso dal disdoro, se non dall’odio, popolare. La ‘gente’, come si vuole, vuole e chiede stabilità e serenità, quindi governi stabili e legislature che durino il tempo che devono: almeno cinque anni. Il che, però, come si sa, in Italia avviene di rado. 

La lunga serie di scioglimenti anticipati delle Camere

Al netto di quelli che si chiamano scioglimenti ‘tecnici’ anticipati (nel 1953 e nel 1958 il Senato venne sciolto per permettere elezioni contestuali con la Camera, nel 1992 e 2001 fu anticipata di poche settimane la fine naturale della legislatura), dal 1972 in poi, primo caso di scioglimento anticipato nella ormai lunga storia repubblicana, cioè a far data dalla I legislatura (1948), è stato un bagno di sangue. Le Camere sono state sciolte più volte prima della durata ordinaria: per la precisione, una legislatura via l’altra, nel 1976, nel 1979, nel 1983, nel 1987 e, infine, nel 1994, la data simbolo di passaggio alla II Repubblica, seguita dallo scioglimento anticipato del 2008. In buona sostanza, su 17 legislature (tranne quella in corsa), quelle durate considerevolmente meno di 5 anni (cioè 60 mesi) sono state solo otto, quasi la metà. Eppure, non bisogna pensare che, subito dopo una crisi di governo, si va a votare. Anzi, è vero il contrario. Negli oltre 70 anni dall’entrata in vigore della Costituzione e per 18 legislature l’Italia ha avuto ben 67 governi, quasi un governo l’anno (3,5 governi a legislatura circa, in media).

In ogni caso, limitandoci solo alla II Repubblica, ecco il nostro campionario di leader (e partiti) – Fini e Bertinotti, appunto – che hanno fatto cadere il governo per ben due volte, due crisi di governo per puntare, a stretto giro, al voto anticipato ma per riceverne, in cambio, solo dolori e sfracelli, fino all’estinzione, di fatto, delle loro carriere e pure dei loro partiti. 

I primi due casi: Fini (1996) e Bertinotti (1998): volevano il voto, ma gli andò male…

I primi due casi, meno noti, riguardano Fini. Corre la XII legislatura, iniziata a marzo 1994. Il Polo delle Libertà e del Buon Governo ha vinto le elezioni ma il I governo Berlusconi è caduto in meno di un anno, per colpa di Umberto Bossi. Segue il governo Dini, che Berlusconi accetta, pensando si vada subito al voto, ma così non è. Scalfaro ‘gabba’ il leader di FI, che è furibondo. Berlusconi, ma anche il leader di An, Fini, reclamano il voto, ma la legislatura, nel 1996, è solo al suo terzo anno. Il Capo dello Stato affida un tentativo esplorativo ad Antonio Maccanico, una volta caduto il governo Dini, ma Fini dice no. Non vuole governare con l’allora Pds e l’allora PPI e si mette in scia di FI, che reclama le urne. Si vota nel 1996 e An non va male (passa dal 13% al 15%) ma il Polo per le Libertà finisce all’opposizione, anche perché la Lega va da sola. Le elezioni le ha vinte l’Ulivo. Il problema è che, senza Rifondazione di Bertinotti, il I governo Prodi fa fatica a governare: non ha i numeri e il Prc, che dà l’appoggio esterno, risulta decisivo. Dopo appena due anni di mal di pancia, litigi e diktat, Bertinotti rompe con Prodi sulle 35 ore. La crisi precipita e, il 9 ottobre 1998, Rifondazione comunista fa cadere il governo in Aula (primo caso nella storia italiana di governo caduto per voto parlamentare). Il voto di fiducia finisce con 312 voti favorevoli e 313 contrari. Prodi non sente ragioni e si dimette. Il Prc si spacca. Nasce, per scissione interna, il Pdci di Cossutta e Diliberto ma servirà solo a far nascere il governo seguente, quello di D’Alema. Alle elezioni successive, il Prc crolla dall’8.7% del 1996 al 5.3%. L’era Bertinotti sembra finita, ma l’uomo, e il politico, si dimostra, tignoso: è, cioè, uno di quelli che, prima o poi, ci ricasca.

Gli altri due casi di crisi di governo provocate per il voto: Bertinotti (2008) e Fini (2010)

Nel 2006, in vista delle Politiche, nasce l’Unione: stavolta, dall’Udeur di Mastella al Prc di Bertinotti è una grande ammucchiata, ma il leader è sempre Prodi. Dura pochissimo, però il II governo Prodi. Il Prc è al governo, con un ministro (Ferrero) che va in piazza contro il suo governo (sic) e i senatori Rossi e Turigliatto (trotzkisti del Prc) fanno ‘ballare’ tutti i giorni una maggioranza che si regge, al Senato, su una manciata di senatori. Ma stavolta non è solo ‘colpa’ di Bertinotti e del Prc. Clemente Mastella, guardasigilli, e leader della sua piccola Udeur, decisiva, però, quanto il Prc, per le sorti del governo, si dimette e fa cadere il governo al Senato, il 24 gennaio 2008 (156 sì contro 161 no) ‘grazie’ ai voti contrari, fondamentali, di due su tre senatori dell’Udeur, il solito Turigliatto e l’eletto all’estero De Gregorio. Per la seconda volta, un governo, sempre Prodi, cade in Parlamento. Il Prc non si ripiglierà più. Dal 5.8% del 2006, l’erede del Prc, che intanto si è sciolto per diventare Sel, prende appena il 3,1%. I ‘comunisti’, in Parlamento, non ci tornano più.

Si torna, dunque, a Fini. Nel frattempo, dopo le elezioni del 2008, con la vittoria a valanga del Pdl, è nato il governo Berlusconi IV, il secondo più lungo nella storia (il più lungo è sempre un governo Berlusconi, il primo…), ma a luglio 2010 il famoso “che fai, mi cacci?!” di Fini a Berlusconi si trasforma nella scissione, dal Pdl, di FLI, che conta anche ministri, viceministri e sottosegretari. Dopo molte vicissitudini, scontri e tira e molla, a novembre 2010 la squadra di FLI prova a fare cadere il governo, uscendo dalla maggioranza, ma Berlusconi si riprende molti degli scissionisti uno a uno e, il 4 dicembre, alla Camera, la mozione di sfiducia delle opposizioni (FLI compresa) non passa: 311 sì e 314 no. Certo, il governo Berlusconi poi cadrà, dopo la torrida estate dello spread del 2011, ma quando si voterà, dopo la parentesi del governo Monti (2011-2013), FLI è scomparsa: nel 2013 prende lo 0,4 dei voti, pur se ‘nascosta’ dentro la lista guidata da Monti e la carriera politica di Fini finisce quel giorno. Nel frattempo, è finita anche quella di Bertinotti, che oggi occhieggia e si barcamena tra memorie e flirt estivi con… Comunione e Liberazione (sic).

L’estate del Papeete di Salvini e crisi del 2018

Infine, ci sarebbe anche Matteo Salvini, ma il suo è un caso davvero tutto particolare e speciale. Il Capitano, infatti, con la famosa ‘estate del Papeete’ (agosto 2019) ha sì provocato la crisi di governo del Conte I, di cui era ministro (agli Interni), ma non ha ottenuto quello che voleva e a cui mirava: le elezioni anticipate entro ottobre. Il governo gialloverde Conte I, nato nel 2018 dopo ben tre mesi di infruttuose consultazioni, si dimise a fine agosto del 2019 (sentito il dibattito parlamentare, Conte salì al Colle, eludendo il voto, anche perché la Lega aveva ritirato la mozione di sfiducia che aveva presentato…), ma, in pochi giorni, nacque tutt’altro governo, quello a guida giallorosso, il Conte II, a sua volta caduto a gennaio del 2021 perché Matteo Renzi ritirò la delegazione di Iv dal governo. Ne seguì, come sappiamo, il governo Draghi, ancora in carica, nonostante le dimissioni presentate giovedì scorso ma, ad oggi, respinte dal Capo dello Stato. La legislatura, dunque, iniziata a marzo del 2018, è continuata, almeno fino a oggi. In compenso, la Lega di Salvini è crollata nei sondaggi: dal 30 e rotti del 2019 ora veleggia intorno al 15%. Morale: chi provoca le crisi, mal gliene incoglie.