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16
Febbraio 2024
Di Redazione

Aveva detto di essere un “nonno al servizio delle istituzioni” , ma siccome quelle italiane non lo hanno voluto è passato a quelle europee e globali. 

Come già accaduto in passato, ci capita di seguire con estrema attenzione i passi pubblici di Mario Draghi, stavolta a Washington per ritirare l’ennesimo riconoscimento da parte dei massimi livelli delle élites statunitensi. 

Un discorso ampio e di visione globale, il suo, che ha toccato vari temi e che proviamo di seguito a sintetizzare affidandoci alle sue parole.“L’apertura dei mercati globali ha reso possibile l’ingresso nell’economia globale di dozzine di paesi, facendo uscire dalla povertà miliardi di persone – 800 milioni solo in Cina negli ultimi 40 anni. Ha prodotto il miglioramento più ampio e veloce degli standard di vita mai visto nella storia. […] In questo nuovo mondo globalizzato, tuttavia, l’impegno di alcuni dei principali partner commerciali a rispettare le regole è stato ambiguo fin dal principio. […] L’ordine commerciale mondiale globalizzato è sempre stato vulnerabile alla possibilità che un qualsiasi paese o gruppo di paesi potesse decidere che seguire le regole non era il modo migliore per perseguire i propri interessi a breve termine.

Contrariamente alle aspettative iniziali, la globalizzazione non solo non è riuscita a diffondere i valori liberali – democrazia e libertà non viaggiano necessariamente insieme a beni e servizi – ma li ha anche indeboliti all’interno dei paesi che ne erano stati i principali sostenitori, finendo anzi per alimentare la crescita di forze che guardavano maggiormente alla dimensione interna. Presso l’opinione pubblica occidentale si è diffusa la percezione che i cittadini fossero coinvolti in una partita falsata, in cui milioni di posti di lavoro venivano spostati altrove mentre i governi e le aziende restavano indifferenti. […] Le persone chiedevano una distribuzione più equa dei benefici della globalizzazione e una maggiore attenzione alla sicurezza economica. E, per ottenere questi risultati, si aspettavano un uso più attivo della “pratica di governo” – assertività nelle politiche commerciali, protezionismo o redistribuzione che fosse.

Una serie di eventi ha poi rafforzato questa tendenza. In primo luogo, la pandemia ha messo in evidenza i rischi che derivano da catene di approvvigionamento globali estese per beni essenziali come i medicinali e i semiconduttori. Questa consapevolezza si è tradotta, in molte economie occidentali, in una spinta al re-shoring delle industrie strategiche […]. La guerra di aggressione in Ucraina ci ha poi indotto a ripensare non solo a dove acquistiamo beni, ma anche da chi. Ha evidenziato i pericoli di una dipendenza eccessiva, per input essenziali, da partner commerciali grandi e non affidabili che minacciano i nostri valori. Nel frattempo, è aumentata anche l’urgenza di affrontare il cambiamento climatico.

Questa fase di profondo cambiamento nell’ordine economico globale porta con sé sfide altrettanto profonde per la politica economica. In primo luogo, cambierà la natura degli shock ai quali sono esposte le nostre economie. […]

Il secondo cambiamento chiave nel panorama macroeconomico è rappresentato dal fatto che la politica fiscale sarà chiamata a svolgere un ruolo più significativo, il che significa – a quanto posso aspettarmi – deficit pubblici persistentemente più alti. La politica fiscale sarà chiamata a incrementare gli investimenti pubblici per soddisfare la gamma di nuove esigenze di investimento. I governi dovranno affrontare le disuguaglianze in materia di ricchezza e reddito. E, in un mondo di shock di offerta, è probabile che la politica fiscale si trovi a dover svolgere anche un maggior ruolo di stabilizzazione – un ruolo che in precedenza avevamo attribuito principalmente alla politica monetaria.

Terzo cambiamento: se è vero che stiamo entrando in un’era di maggiori rivalità geopolitiche e relazioni economiche internazionali più transattive, i modelli di business basati su ampi surplus commerciali potrebbero non essere più sostenibili politicamente.

Per stabilizzare il potenziale di crescita e ridurre la volatilità dell’inflazione, avremo bisogno di un cambiamento nella strategia di policy complessiva, che si concentri sia sul completamento delle transizioni in corso sul lato dell’offerta, sia sullo stimolo alla crescita della produttività, campo in cui un’ampia adozione dell’intelligenza artificiale potrebbe essere d’aiuto. Ma per fare tutto questo a una certa velocità sarà necessario un policy mix adeguato: un costo del capitale sufficientemente basso per anticipare la spesa per gli investimenti, una regolamentazione finanziaria che supporti la riallocazione di capitale e l’innovazione, politiche della concorrenza che facilitino gli aiuti di Stato laddove siano giustificati.

Allo stesso modo, nelle condizioni attuali, una strategia coerente di policy dovrebbe avere almeno due elementi. Primo, deve esserci un percorso fiscale chiaro e credibile che si concentri sugli investimenti e al contempo, nel nostro caso, preservi i valori sociali europei. Questo darebbe alle banche centrali maggiore fiducia nel fatto che la spesa pubblica oggi, aumentando la capacità di offerta, porterà a un’inflazione più bassa domani. […] L’emissione di debito comune per finanziare gli investimenti amplierebbe lo spazio fiscale collettivo a nostra disposizione, allentando così almeno in parte la pressione sui bilanci nazionali. […]

In secondo luogo, se le autorità fiscali delineassero in questo modo percorsi fiscali credibili, alle banche centrali spetterebbe il compito di assicurarsi che la bussola principale per le loro decisioni sia rappresentata dalle aspettative di inflazione. Nei prossimi anni la politica monetaria si troverà ad affrontare un ambiente difficile in cui, più che mai, dovrà distinguere tra inflazione temporanea e inflazione permanente, tra crescita di recupero dei salari e spirali self-fulfilling, tra le conseguenze inflazionistiche della spesa pubblica buona e di quella cattiva. […]

Le transizioni che le nostre società stanno affrontando – siano esse dettate dalla nostra scelta di proteggere il clima, dalle minacce di autocrati nostalgici o dalla nostra indifferenza alle conseguenze sociali della globalizzazione – sono profonde. E le differenze tra gli esiti possibili non sono mai state così nette.

Ma le persone conoscono nel profondo il valore della nostra democrazia e quel che essa ci ha dato negli ultimi ottant’anni. Vogliono preservarlo. Vogliono essere incluse e valorizzate al suo interno. Sta ai leader e ai responsabili delle decisioni politiche ascoltare, capire e agire insieme per progettare quello che è il nostro futuro comune.
Difficile leggere parole più interessanti nel mercato dell’informazione italiana.