Innovazione

Cavi sottomarini, il business su cui la Cina vuole mettere le mani

23
Agosto 2022
Di Jacopo Bernardini

Sul fondo degli oceani scorre una rete composta da oltre 400 cavi sottomarini, messi insieme arrivano a una lunghezza pari a 1,2 milioni di chilometri, tre volte la distanza tra la Terra e la Luna. 

Il 97% del traffico internet globale passa attraverso questi cavi (solo il restante, il 3%, sui satelliti), tramite cui ogni giorno si realizzano transazioni finanziarie pari a circa 10 trilioni di dollari.

Ne esistono due principali tipologie: i cavi sottomarini per la trasmissione dei dati e quelli per la trasmissione dell’energia, molto più costosi. 

Tramite questo reticolo viaggiano miliardi di dati di privati cittadini, aziende, governi e pubbliche amministrazioni. 

Il primo cavo sottomarino ai fini delle telecomunicazioni fu posato nel 1858 tra l’Irlanda e Terranova, ma durò soltanto un mese. Bisognerà attendere fino al 1956 affinché sia realizzato il primo vero e duraturo cavo: il TAT-1 che unì la Scozia a Terranova e funzionò fino alla fine degli anni ’70.

La loro importanza è sempre più strategica per la vita quotidiana, le attività economiche, ma anche per la sicurezza dei vari Stati, le decisioni strategiche e il controllo delle informazioni.

La dipendenza dai cavi sottomarini continuerà ad aumentare con la crescita della domanda di dati, spinta dal passaggio ai servizi cloud e dalla diffusione delle reti 5G. Secondo le previsioni, il mercato dei cablaggi sottomarini, dai circa 10 miliardi di valore nel 2017, nel 2026 dovrebbe superare i 30 miliardi di dollari. 

L’area euro-atlantica è la strada di cablaggio più antica e trasporta il traffico di dati con dozzine di cavi, la maggior parte dei quali tra Stati Uniti, Regno Unito e Francia. Per l’Europa sono fondamentali, poiché la maggior parte dei suoi dati è archiviata in data center negli USA. Altre rotte importanti sono quelle che collegano l’Europa all’Asia (attraverso il Mediterraneo e il Canale di Suez) e l’Asia con gli Stati Uniti (attraverso l’oceano Pacifico).

La pianificazione, la produzione, la distribuzione e la manutenzione dei cavi sottomarini sono quasi interamente nelle mani del settore privato. I maggiori quattro fornitori sono Alcatel submarine networks (Francia), Subcom (Stati Uniti), Nec (Giappone) e Huawei marine networks (Cina), la cui quota di mercato è progressivamente salita al 10%.

Controllare maggiori porzioni di questa rete subacquea equivale ad aumentare il proprio potere. Se ne stanno accorgendo anche i fornitori di contenuti (Google, Amazon, Microsoft, Facebook) che stanno investendo in questo settore alleandosi con gli operatori telefonici, per garantire l’interconnessione dei loro data center. 

A livello nazionale, primato in termini di possesso di cavi sottomarini è degli Stati Uniti, che ne controllano più della metà nel mondo. Ma la Cina è intenzionata ad assumere la leadership del settore a livello globale. Nel piano China Manufacturing 2025, si legge la volontà da parte di Pechino di arrivare a possederne almeno il 60% entro il 2025.

In questa partita dove si colloca l’Unione europea? In un recente report dello European Council on Foreign Relations, “Network effects: Europe’s digital sovereignty in the Mediterranean”, firmato da Arturo Varvelli – direttore dell’ufficio di Roma e Senior Policy Fellow dell’Ecfr – Matteo Colombo – Visiting Fellow dell’Ecfr e Associate Research Fellow presso l’Ispi – e Federico Solfrini – dottorando in relazioni internazionali presso l’Università di St Andrews ed ex Research Associate dell’Ecfr – gli autori spiegano che gli Stati Uniti e la Cina hanno approcci diversi tra loro, ma i due Paesi sono allo stesso modo impegnati nel garantire le migliori condizioni alle proprie aziende e tutelare i propri interessi.

Entrambi, però, sono più avanti dell’Unione europea in termini di influenza sulle infrastrutture digitali e sugli Stati che ne dipendono. L’UE avrebbe il potenziale per raggiungere la sovranità digitale ma manca di una strategia unica per il settore. Se l’Unione europea non riuscirà a colmare questo gap, altri attori riempiranno lo spazio a loro vantaggio, creando standard e condizioni che, per gli interessi europei, potrebbero rivelarsi dannosi. 

Come rischia di succedere in molti altri settori ad alto livello di innovazione, l’UE deve riflettere sul tema e portare avanti politiche comuni e istanze collettive con spirito comunitario. 

Altrimenti il rischio, nel mondo di domani, è quello di condannarsi all’irrilevanza. 

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