Innovazione

Margelletti in audizione: “Difesa, Esteri e Intelligence una cosa sola”

21
Luglio 2021
Di Redazione

“La NATO è l’Alma Mater del nostro sviluppo. E’ il concetto di fare di tutto insieme, ma lo scenario internazionale è molto cambiato. E sarebbe semplicistico dire che gli scenari cambiano sempre”. Esordisce così Andrea Margelletti, Presidente Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali, in audizione presso la Commissione Difesa della Camera. “Le cose non sono mai cambiate in maniera così profonda come negli ultimi 10 anni, perché nei secoli per tradizioni noi avevamo lavorato sullo scenario terrestre e marittimo. Poi con la Seconda Guerra Mondiale col comparto aereo. In realtà la tecnologia ha cambiato tutto, portando a confrontarci nel mondo difesa col concetto di etica. Non parlerò solo di cybersicurezza, perché è limitante parlare di dominio cibernetico. Siamo di fronte a un multidominio. La maggior parte del budget difesa è dedicato al personale, quando si tratta di ricerca e sviluppo i numeri sono diversi”.

 

Margelletti poi allarga lo sguardo alle relazioni internazionali: “Il mondo è diviso tra due criticità: ritorno dell’eventuale conflitto tra grandi Paesi, come ad esempio l’intervento della Russia in Crimea e Ucraina con l’utilizzo di strumenti innovativi e operazioni nei confronti di minacce meno evidenti ma non meno pericolose, come il terrorismo. Il posizionamento attuale di Cina e Russia nel mondo Occidentale è netto: lo dimostra la situazione nell’Africa subsahariana, dalla quale avremo una ridda di problemi assai rilevanti perché non abbiamo ancora compreso l’impatto dello sviluppo delle megalopoli su alcuni Paesi africani, città con 16-18 milioni di abitanti con immense periferie ed emorragia di forza lavoro verso l’Europa, con capacità dei governi locali di controllare solo parte dell’area, lasciando ad altri il controllo delle sconfinate campagne. Questo è un problema che dovremo affrontare: se l’abbandono delle campagne non si accompagna ad una forte industrializzazione aumenta la povertà ed è più alto il grado di attrattività del denaro, anche perché la maggior parte delle persone che arrivano nelle città sono in età lavorativa. Il punto è riuscire a non farli partire”.

 

Sul ruolo dell’Italia nella NATO: “Dobbiamo renderci conto che se vogliamo essere centrali nella NATO è vero che uno conta uno ma ho l’impressione che gli Stati Uniti contino un po’ di più e siccome il mantra americano sarà per i prossimi 25 anni il rapporto con la Cina, l’Italia dovrebbe porsi questo problema. Peseremo all’interno di alleanze strutturate tanto quanto peseremo nel rapporto con gli USA nell’area del Pacifico. Tanto più che la Germania si sta attrezzando per avere presenza militare fissa in Asia. Questo non cambia il valore degli equilibri, ma gli USA sanno di poter contare su un alleato di riferimento nell’area”.

 

Margelletti descrive poi una ‘minaccia ibrida’: “Non è solo quella di persone che non indossano uniformi. Prima di partire per un’operazione militare è necessario mettere in conto le attività di propaganda che il nostro avversario è in grado di porre in essere per allargare faglie di differenza tra alleati e togliere supporto alla nascita di una coalizione. E’ opportuno dotarsi a livello NATO e nazionale di strumenti di contronarrativa che possano opporsi a questo tipo di minacce. Non esiste solamente la cyberdifesa, dobbiamo pensare a strumenti efficaci sia nella difesa che nell’offesa, perché altrimenti prima o poi ci faremo male”.

 

Sul futuro della difesa: “Siamo abituati a pensare ai soldati. Oggi non è più così e non lo sarà più. Dobbiamo avere il coraggio di dire che entro 10 anni lo scenario militare vedrà le Forze Armate infinitamente irrilevanti, la perdita di vite umane è diventata sempre meno accettabile, anche in guerra. Dobbiamo renderci conto che il futuro dei conflitti sarà un futuro in cui l’uomo sarà sempre meno presente, alcuni reparti potranno supplire all’invio di soldati. In questo scenario non possiamo più parlare di divisione tra difesa ed esteri. Dobbiamo considerare insieme difesa, esteri ed intelligence. Pensare che l’intelligence non sia un player importante vuol dire avere un problema di miopia. La capacità di colpire diversi obiettivi senza l’intervento di una persona e senza il rischio che qualcuno venga catturato o ucciso è il futuro e noi abbiamo ancora una concezione antica di finanziamento di un sistema piuttosto che un altro. Dobbiamo smettere di pensare in termini di quantità e dobbiamo iniziare a esprimere capacità: è necessario che voi decidiate cosa devono fare le Forze Armate”. 

 

Sul ruolo internazionale dell’Italia: “Noi siamo abituati a fare molto bene una serie di cose, come ad esempio avere costanza nelle operazioni di supporto alla pace e lo facciamo bene. Ma rimango turbato da realtà come quelle britannica e statunitense che fanno una revisione profonda anche con conseguenze irrilevanti del proprio strumento militare. Noi italiani ne abbiamo uno in linea con ciò che sappiamo fare, ma siamo certi che quello che sappiamo fare sia quello che sia necessario fare e così rischiamo di essere fortemente arretrati”. 

 

Italia al bivio: “I conflitti del passato hanno insegnato che se appartenevi a un club potevi starci (NATO) perché avevi una tua utilità. Oggi sono stati spazzati via questi tre pilastri, perché il drive del futuro è la tecnologia. Noi stiamo acquistando mezzi che ci permetteranno di cooperare insieme alle altre forze alleate. La tecnologia porrà un bivio: o operiamo come un'unica entità o siamo fuori e fra poco a dire chi sta intorno al tavolo non saranno più gli interessi. Domani se parliamo di investimenti europei il futuro è l’integrazione totale dei sistemi e questo dobbiamo avere il coraggio di dire che dovremmo scuotere l’albero dell’industria perché anche l’industria deve recuperare la capacità di immaginare che aveva qualche anno fa e non quello che chiediamo. Forse è anche sbagliato perché vecchio, ma noi siamo di fronte a un bivio: le nostre forze armate che con tanta capacità operano e questo sistema che è destinato a morire. Così come l’approccio politico a tutto questo. Perciò è importante investire ora su questo aspetto, altrimenti saremo costretti a comprare ciò che troviamo sul mercato”. 

 

Le domande a Margelletti. Frailis (PD): “ La nostra commissione è sempre stata coesa. Bisogna fare alla svelta per una revisione militare che si impone. L’attuale governo di larga coalizione ha detto che la prospettiva sono multilateralismo e atlantismo, ma ci sono sensibilità diverse che potrebbero manifestarsi, potrebbe essere un problema per quei tempi da rispettare. Ho il privilegio di servire il Ministero della Difesa da diversi anni, abbiamo un problema e spesso la politica sceglie la strada del multilateralismo per non assumersi delle responsabilità proprie. Non sono un sovranista, ma mi considero un patriota: voglio sapere da che parte stiamo, la politica è l’arte del possibile e la NATO e l’UE rappresentano una casa. Ma questo non vuol dire che non possiamo cogliere opportunità, ma sono opportunità non un matrimonio, uno dei problemi più complessi è quello del dibattito dell’interesse nazionale, che è a parte il governo in carica che sceglie una strada per arrivarci non per forza condivisa dall’opposizione, ma quello è l’obiettivo finale. Fermo restando che il nostro mondo è occidentale, ma io ho richiesto una presenza militare fissa nel Pacifico perché il conflitto futuro sarà quello della Cina, prima o poi tra Usa e Cina ci sarà uno scontro fisico perché gli Imperi non se ne vanno in punta di piedi, e gli Stati Uniti non sono disposti a cedere tutto alla Cina ma non vuol dire che non bisogna fare business ed essere chiusi. Siamo in un mondo occidentale ma questo non significa non avere un dialogo con Cina e Russia”.

 

Frusone (M5S): “Sono d’accordo con quanto detto e questo problema e siamo consapevoli, ma credo che la situazione sia più complessa. Non solo nei prossimi 10 anni ma per più tempo avremmo una convivenza tra le esigenze del futuro e del presente, vediamo come il nostro Paese ha delle esigenze classiche come la questione del Nord Africa dove l’aspetto tecnologico si fa sentire di meno. Certo che il pilotaggio remoto e altre tecnologie aiutano, ma forse dobbiamo ancora usare i vecchi strumenti della diplomazia e dove la presenza umana è ancora molto importante, ci ritroviamo a dover rincorrere il futuro senza farci trovare impreparati, ma ci troviamo davanti a delle richieste che drenano delle risorse a quell’aspetto del futuro che lei ha spiegato e quindi ci sarà un grosso problema per le risorse messe in campo, magari non ci sono scelte sbagliate, ma calcolare tutto questo, possiamo approfondire?”

 

Margelletti: “Abbiamo un doppio avversario: l’altissima tecnologia e l’Africa Subshariana. La questione migratoria è neanche la sola punta dell’iceberg e necessitiamo di un mix di forze, che devono essere ritagliate sugli interessi nazionali. In quel contesto non è la distruzione dell’ecosistema digitale, ma creare empatia con il popolo che deve poter immaginare un futuro diverso. Dovremmo immaginare gli interessi, ma soprattutto che gli strumenti che noi abbiamo stiano diventando mezzi obsoleti, non il mezzo ma il concetto che porta a quel mezzo. Le risorse non sono mai abbastanza, ma le decidete voi. Se non vogliamo trovarci in una situazione in cui ci dicano ‘No grazie’ e non essere presenti a determinati tavoli, tutto ciò ha delle ricadute sul mondo del lavoro, un problema che dobbiamo porci. Noi abbiamo bisogno di più risorse ma questo è solo una parte della soluzione, definiamo cosa dobbiamo fare e ci mettiamo le risorse, questo ci permetterà di rimanere al tavolo, altrimenti gli altri li vedremo da lontano”.

 

Ferrari (Lega): “L’orientamento dello sviluppo della tecnologia, cioè non poter più sopportare il numero di perdite che in un conflitto convenzionale sarebbero state accettabili 50 anni fa, fanno il paio con i numeri dell’Afghanistan e le vittime del nostro contingente italiano. Da qui l’orientamento di investire nella tecnologia o a controllo remoto del soldato o concedente totalmente un'autonomia all’intelligenza artificiale di fare scelte operative. Questo ragionamento un po' inquieta: il nostro paese per competere deve metterci le risorse nell’industria nazionale, ma il tempo vola. Noi abbiamo risorse destinate agli investimenti e alla parte addestrativa molto limitati rispetto alla parte complessiva, abbiamo il focus sull’uomo, sul soldato e con questi numeri non siamo in grado di fare tutto ciò che ad oggi la politica chiede alla partecipazione internazionale. Il ragionamento in questa direzione è corretto o possiamo ridurre i numeri del personale? Abbiamo la capacità di sostituire il vuoto con la tecnologia?”

 

Margelletti: “Noi non possiamo scegliere di essere in tutti i mari del mondo se non disponiamo dei mezzi, non credo che i sistemi ‘unmanned’ possano fare cose che le persone non fanno e possano ricoprire ruoli che sono scoperti o che non sono previsti e possiamo immaginare di poter avere. Per i numeri non credo che esista un numero giusto, credo che sia in base a quello che chiediamo di fare. Ritengo che sarebbe opportuno avere un numero di unità organizzate e pronte, sennò dobbiamo accettare che ci sono unità sguarnite, dobbiamo fare un lavoro su cosa si chiede alle forze armate. La vera domanda è: le Forze Armate avete deciso cosa fargli fare? L’opportunità dell’unmanned riguarda compiti ulteriori”. 

 

Tripodi (FI): “Secondo lei il peso dell’industria nazionale della difesa che ricadute può avere nella politica estera in un momento in cui c’è un grande movimento nel Mediterraneo allargato?” 

 

Margelletti: “L’industria nazionale è molto legata al cliente nazionale e si dimentica di essere italiana; porta le sedi all’estero, ma se utilizzeremo come strumento politico l’industria della difesa che significa tecnologia e PIL aiuteremo i cluster delle altre regioni globali. L’industria della difesa nazionale deve scollarsi dal concetto di operare per dare al cliente nazionale, ma deve essere più aggressiva investendo di più in ricerca e credendo di più in se stessa. Se avremo questo saremo un Paese moderno, in linea con quello che vogliamo essere. Il driver tecnologico definirà le alleanze, se non avremo posizioni geopolitica e geografica, gli interessi diventeranno totalmente irrilevanti sullo scenario internazionale”.

 

 

 

Redazione

 

 

Photo Credits: GenovaQuotidiana
 

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