Fill the gap

Non solo “fuga di cervelli”: per la Fondazione Migrantes la mobilità è sempre più una scelta

12
Novembre 2025
Di Elisa Tortorolo

Un italiano su otto vive all’estero. Non è (solo) “fuga dei cervelli”: è un’Italia che si muove, che cerca opportunità e che si ridisegna come crocevia di mobilità plurime. Il XX Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes fotografa questa trasformazione: al 1° gennaio scorso gli iscritti all’AIRE sono 6,412 milioni, più degli stranieri residenti in Italia (5,42 milioni) e pari ormai al 12% dei residenti totali. In vent’anni, dal 2006 al 2024, l’analisi statistica registra 1,644 milioni di espatri a fronte di 826 mila rimpatri.

Dopo l’assestamento della fase pandemica, le partenze sono riprese con vigore e il 2024 ha segnato il record negativo dell’intera serie storica: saldo a –103 mila unità. A determinare questo risultato concorrono due spinte convergenti: da un lato le nuove iscrizioni all’AIRE per solo espatrio, salite a 123.376 (+36,5% sul 2023), dall’altro il calo dei rimpatri (–14,3%). A muoversi sono soprattutto le età economicamente più attive: i giovani tra 18 e 34 anni segnano un incremento delle partenze del +47,9%, i giovani adulti tra 35 e 49 anni del +38,5%; insieme valgono il 72,2% dell’intero flusso in uscita del 2024.

Il rapporto invita a leggere questi numeri senza toni apocalittici: non una disfatta, ma una risposta strutturale a mancanze sistemiche. L’emigrazione contemporanea non è primariamente la “fuga” di pochi talenti, bensì la ricerca di spazi di carriera, stabilità e riconoscimento che il sistema-Paese fatica a offrire. Per molti, l’estero funziona come un nuovo ascensore sociale. Dietro ogni partenza si intravedono nodi irrisolti – educativi, produttivi, sociali – che non hanno saputo accogliere e valorizzare energie e competenze.

Colpisce, in questo quadro, la crescita della componente femminile: le donne rappresentano il 48,3% degli iscritti AIRE e, dal 2006, sono cresciute a un ritmo più sostenuto degli uomini (+115,9% contro +98,3%). Non è solo un dato demografico: all’estero molte famiglie intercettano sistemi di welfare più attenti alle lavoratrici e al benessere del nucleo. Si lega qui un fenomeno sociale in espansione, quello dei “nonni babysitter”: nel 2024 si sono trasferiti 13.433 “adulti maturi”, il 10,9% del totale, spesso per sostenere figli e nipoti già residenti fuori dall’Italia.

Anche le geografie raccontano un’Italia connessa soprattutto all’Europa: il 76% degli espatri degli ultimi vent’anni ha avuto come destinazione altri Paesi europei. Nella classifica storica 2006–2024 guidano Regno Unito (289 mila partenze), Germania (248 mila) e Svizzera (166 mila). Ma il 2024 segna un cambio di passo: l’effetto Brexit ha rallentato i flussi verso Londra e la Germania è diventata la prima meta per i nuovi espatriati, superando il Regno Unito. Allargando lo sguardo, emergono saldi differenziati: l’Africa presenta un saldo positivo di +16 mila, mentre l’America centrale e meridionale registra flussi elevati in entrambe le direzioni – 153 mila espatri e 157 mila rimpatri – con un saldo finale leggermente positivo di +4 mila, legato anche alle acquisizioni di cittadinanza iure sanguinis nelle comunità italodiscendenti.

Infine, la mobilità estera dialoga al contempo con quella interna. Spesso la partenza oltre confine è l’ultimo atto di un percorso già iniziato entro i confini nazionali: negli ultimi dieci anni, dal 2014 al 2024, il Mezzogiorno ha perso al netto 373 mila cittadini tra i 20 e i 49 anni a favore del Centro-Nord, alimentando un circuito che intreccia squilibri territoriali ed esodo verso l’estero.

 Il quadro che ne emerge è complesso ma leggibile: non una deriva, bensì un reindirizzamento delle traiettorie individuali. L’estero, per molti, è la leva per sbloccare carriere e prospettive che in Italia restano ancora troppo spesso congelate.