Esteri

Russia addio e Green Deal, in Occidente il riassetto dai frutti lenti

21
Aprile 2023
Di Giuliana Mastri

L’Occidente non ha dubbi oggi che il suo principale competitor sia la Cina ed è deciso ad aprire una nuova stagione che cambi radicalmente i rapporti con la Russia. La strategia, nel lungo termine, si orienta su una maggiore tutela degli spazi di mercato e una riconversione del sistema di approvvigionamento. L’idea, in generale inquadrata nel Green Deal, ha in sé dei buoni propositi, eppure in questa prima fase è stata molto meno vincente di quanto avevamo preventivato.

La Cina, infatti, continua a macinare terreno con Pil sempre in crescita, anche se di meno rispetto a due anni fa, anche Mosca tiene, mentre i Paesi dell’Unione Europea devono fare i conti con i prezzi che salgono e la non facile transizione energetica. I costi dell’energia e delle altre materie prime, hanno riportato importanti economie a registrare segni meno negli indicatori fondamentali. Nel 2022 la bilancia commerciale italiana (cioè la differenza import-export di merci e servizi) ha registrato un deficit pari a 31,011 miliardi (da +40,334 miliardi del 2021). Il deficit energetico è stato pari a -111,278 miliardi. Non va meglio al Giappone: la bilancia commerciale giapponese, a causa dei rialzi dei prezzi delle materie prime e la debolezza dello yen. Secondo i dati del ministero delle Finanze, nell’anno fiscale 2022 terminato al 31 marzo il rosso si assesta a circa 21.700 miliardi di yen. Dolente la Francia, che ha raggiunto il livello record di 164 miliardi di euro di deficit commerciale lo scorso anno. Ciò è dovuto all’impennata dei prezzi dell’energia, al deprezzamento dell’euro e alla debolezza dell’industria francese. Al contrario la vendita di servizi per Parigi è stata molto soddisfacente.

E quest’anno, nonostante la discesa del prezzo dell’energia, si fatica a tornare ai livelli ottimali. L’Italia ha avuto un altro passivo a gennaio nella bilancia commerciale, mentre a febbraio (l’ultimo mese di cui sono disponibili i dati) il saldo è positivo per 2,11 miliardi, in particolare grazie al commercio extra-Ue. Nel contempo, resta negativa la performance commerciale di Parigi e la Germania segna un più, ma con una prestazione minore di quella di gennaio.

Sono segnali da non sottovalutare, sintomo del fatto che il riassetto globale non sarà semplice da gestire. Dopo anni infatti l’Europa torna a fare i conti con l’inflazione (oggi in Europa ancora oltre il 6% di media) che quando origina dai prezzi energetici diventa critica per quei Paesi che non hanno disponibilità di materie prime. Il Green Deal serve a questo, ma ha bisogno di molte risorse e di progettualità, anche per cominciare a dotarsi di quei materiali funzionali alla transizione che vengono acquistati da fuori. Bruxelles, poi, sta lavorando alla sua riforma del settore energetico, visti gli evidenti squilibri determinati dal modello di formazione dei prezzi a partire dalle aste borsistiche. E poi c’è un modello di sviluppo, quello classico della globalizzazione degli anni ’90, che nelle economie più avanzate ha determinato la sempre maggiore produzione di servizi, con invece il ricorso ad approvvigionamento di merci che vengono assemblate tramite catene sempre più lontane. Questo oggi può essere un punto debole e l’abbiamo visto, la frammentazione della catena del valore nella nostra fase storica è molto meno affidabile e rende i Paesi meno competitivi, dato che, semplicemente, ci sono meno industrie sul suolo nazionale. Le classi dirigenti hanno capito il compito che le attende, una prova molto delicata, che sta sprigionando entusiasmi ma anche inquietudini.

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