Esteri

Iran-Pakistan, è tregua. I significati dietro la vicenda e la voglia di egemonia di Teheran

22
Gennaio 2024
Di Giampiero Cinelli

Iran e Pakistan hanno trovato un accordo di de-escalation dopo i reciproci attacchi aerei della scorsa settimana. La notizia può suonare ostica per molti i quali non conoscono bene determinate dinamiche in medio-oriente e, in effetti, in una fase internazionale più regolare non sarebbe stato un elemento dirimente. Ma è proprio alla luce dei recenti sviluppi su quel versante che gli avvenimenti tra i due Paesi assumono un significato particolare. Andiamo con ordine.

Cosa è successo
Martedì l’Iran ha lanciato missili su territorio pakistano, precisamente nella provincia del Belucistan, l’area dove confinano Iran, Pakistan e Afghanistan, causando morti e feriti. Due giorni dopo il Pakistan ha risposto, attaccando nella provincia iraniana del Sistan e Baluchestan (secondo la dizione americana), con altre conseguenze cruente. Le due aree che abbiamo nominato costituiscono il confine più prossimo tra i Paesi, esteso per 900 chilometri, e la sua ripartizione da un punto di vista politico-amministrativo è ancora in parte instabile. Perché? Siccome su entrambi i lati si trovano milizie separatiste che reclamano l’indipendenza da Teheran e da Islamabad. La popolazione del Belucistan lamenta le ingerenze di tutte e due le nazioni in questione.

La peculiarità degli eventi
Il fatto sorprendente, e senza precedenti, è che pur condividendo entrambi l’ostilità ai separatisti, che spesso si spostano lungo la linea di confine su entrambi i lati, né l’Iran né il Pakistan avevano condotto operazioni militari sul territorio dell’altro. Teheran ha dichiarato di averlo fatto per colpire il gruppi di Jaish al-Adl, un’organizzazione sunnita. Forse questo non è un dettaglio da poco, non solo in quanto l’Iran è notoriamente sciita, ma perché il Pakistan è uno Stato a maggioranza sunnita.

La proiezione iraniana
Il governo di Islamabad, parlando della sua risposta bellica, ha a sua volta detto di aver mirato unicamente a bersagli pakistani. Ma come si intuisce gli eventi sono tutt’altro che consueti e molti osservatori occidentali hanno interpretato gli scontri nell’ottica della volontà dell’Iran di sfruttare l’accresciuta instabilità mediorientale, per allargare la sua influenza e assestare colpi importanti ai nemici.

Ricordiamo infatti che Teheran sta fornendo supporto a Hezbollah, l’organizzazione militare e politica libanese intervenuta nella guerra tra Israele e Palestina. Allo stesso tempo i ribelli Outhi dello Yemen, che attualmente bloccano le navi mercantili sul Mar Rosso in chiave anti-israeliana e anti-occidentale, hanno dietro l’Iran. Va detto, inoltre, che il giorno prima degli attacchi in Pakistan, Teheran ha lanciato missili balistici contro Iraq e Siria, sostenendo di prendere di mira una base di spionaggio delle forze israeliane e di gruppi terroristici anti-iraniani.

Il regime degli Ayatollah «sta cercando l’egemonia regionale. E quando gli Stati Uniti e Israele sono lì, e Israele conduce questa campagna contro Hamas, allora l’Iran sente il bisogno di reagire e affermarsi», ha detto alla Cnn Wesley Clark, Generale in congedo dell’esercito americano.

Le prospettive future
Non è chiaro se l’Iran e il Pakistan intendano combattere apertamente e intensamente i separatisti. Le parti hanno spiegato di non volere che la situazione degeneri. Una volta ristabilita la calma entrambi si sono definiti Paesi amici, eppure esiste da tempo l’idea che sia Iran che Pakistan si comportino in modo ambiguo nei confronti dei due gruppi armati, lasciandoli operare nei rispettivi territori. Siccome si sospetta che i terroristi pakistani del Belucistan si trovino in larga parte in Iran e che quelli sunniti di Jaish al-Adl siano stanziati in Pakistan. Anche per questo i due governi hanno detto di aver colpito specificamente i combattenti osteggiati. L’analisi tuttavia può anche essere di tono meno allarmistico, valutando quanto accaduto non tanto come il segno del possibile allargamento della crisi mediorientale, ma come azioni volte a gestire problemi politici interni, soprattutto da parte di Teheran che deve mostrare di saper tenere le redini in questa congiuntura e contestualmente alle proteste che hanno imperversato nella nazione, facendo vedere ai nemici occidentali che si sta muovendo ma senza provocare reazioni massicce da parte degli Usa.