Esteri

La guerra ucraina, la strategia della Cina. Ambigua ma non neutrale

22
Settembre 2022
Di Giampiero Cinelli

La guerra in Ucraina potrebbe essere a un punto di svolta e l’ago della bilancia tenderebbe verso la Cina. Ma è proprio Pechino che continua a esprimersi in modo troppo diplomatico, senza lasciar intravedere una linea chiara. A differenza dei Paesi europei, anch’essi diplomatici ma in realtà intenzionati a sostenere Kiev fino alla sua vittoria, la potenza guidata da Xi Jinping è tornata a chiedere una «soluzione negoziale», sulla scia dell’annuncio del presidente della Russia della «mobilitazione parziale» e dei referendum nei territori occupati tra cui Lugansk e Donetsk, che Pechino non ha esplicitamente avallato, riconoscendo il diritto all’integrità e alla sovranità dei popoli. Di fatto, però, il Dragone non ha mai sanzionato Putin e si guarda bene dal considerare il blocco occidentale come quello che può avanzare le migliori ragioni, anzi spesso sottolineando i problemi per la sicurezza globale di una visione a senso unico dello scacchiere internazionale.

Vladimir Putin e Xi stanno invece approfondendo le questioni della cooperazione militare, anche se Pechino fa intendere che non ha interesse ad un coinvolgimento più diretto sul fronte ucraino. Va avanti più spedito il sostegno economico, con accordi sul gas già avviati. Prova del fatto che, se l’occidente vuole isolare Putin, l’oriente, capitanato dalla Cina con l’inserimento evidente dell’India (esemplificativo l’incontro dello Sco), non intende farlo. L’escalation della guerra certo preoccupa tutti, e nonostante Xi abbia un’esercito di uomini e mezzi paragonabile a quello degli Stati Uniti, non può vantare una nazione dal valore già comprovato in guerre di larga scala. Allo stesso tempo, però, l’ambiguità nei confronti degli ucraini si spiega con la questione di Taiwan, che è speculare a quella di Kiev. La Cina intende fermamente riportarla sotto il suo controllo perché lo considera suo spazio naturale. Non mostrerebbe dunque coerenza politica se decidesse in futuro di invadere Taipei dopo aver dato manforte agli uomini di Zelensky, con il quale non ha mai parlato. Secondo alcuni esperti, la miccia che porterebbe alla terza guerra mondiale sarebbe proprio un conflitto militare a Taiwan, fondamentale per l’influenza nell’Indo-Pacifico anche da parte degli americani.

Non si pensi comunque che la Cina ritenga Mosca sua amica. Da Paese confinante, com’è chiaro nella psicologia di massa, non può che temerla. Inoltre non ha mai visto di buon occhio il fatto che la Siberia sia territorio del Cremlino. Ma sa bene che la vicinanza a Mosca è quasi una scelta automatica dal momento che la principale potenza mondiale avversa a Pechino è quella degli Usa. Per altro, in questa fase Xi capisce che può dare le carte, affermandosi sempre di più nel blocco anti-Nato e potendo influenzare meglio le scelte strategiche della Russia, che per i cinesi è pur sempre un Paese europeo e più vicino di loro alle classi dirigenti occidentali. Ora, infatti, Putin è costretto a vendere più gas e petrolio a Pechino, a un prezzo vantaggioso e può rendere il suo mercato delle armi più accessibile. Così la Cina si sta muovendo in questa rete geopolitica, mentre si avvicina il XX congresso del Partito Comunista in cui Xi Jinping dovrebbe ottenere il terzo mandato da Presidente, Segretario Generale e Capo della commissione militare. Prospettando un avvicendamento di generali tale per cui potrebbe avere mano libera in caso di attacco a Taiwan.

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