Esteri

Romania, elezioni: al primo turno vince la destra anti-Ue di Simion

06
Maggio 2025
Di Giampiero Cinelli

Alle 8 di ieri sera, quando i seggi hanno chiuso in tutta la Romania, il verdetto era chiaro: il paese ha scelto la rottura. Il primo turno delle elezioni presidenziali ha visto trionfare George Simion, leader del partito ultranazionalista AUR, con un netto 41% dei voti. Dietro di lui, staccato di venti punti, Nicușor Dan, sindaco di Bucarest e volto dell’opposizione moderata e filo-europea, che si ferma al 21%. I romeni torneranno alle urne il 18 maggio per decidere chi guiderà il paese, ma l’onda lunga della protesta che ha infiammato le piazze lo scorso inverno è già entrata nei palazzi del potere.

Queste elezioni arrivano dopo mesi di caos istituzionale. A novembre 2024, la Corte Costituzionale aveva preso una decisione senza precedenti: annullare le elezioni presidenziali già svolte, vinte al primo turno dal discusso Călin Georgescu, per «gravi interferenze straniere» – un’allusione chiara alla Russia. Tra cyberattacchi, fake news e campagne virali orchestrate sui social, soprattutto TikTok, l’intero processo democratico era stato compromesso, secondo i giudici. Una scelta che ha provocato settimane di manifestazioni in tutto il paese, con decine di migliaia di cittadini scesi in piazza per denunciare l’erosione della democrazia.

Nel frattempo, il governo ha navigato a vista. Il premier Marcel Ciolacu si è dimesso ieri sera dopo il crollo del suo candidato, Crin Antonescu, fermo al 17%. Al suo posto, un governo tecnico guidato ad interim da Cătălin Predoiu dovrà gestire la transizione fino al secondo turno. Ma l’instabilità politica è solo la superficie: dietro si muovono fratture sociali, sfiducia nelle istituzioni e un sentimento anti-sistema che ha spinto Simion in vetta.

Il leader di AUR ha costruito la sua ascesa su un mix di nazionalismo, retorica anti-immigrazione e ostilità verso l’Unione Europea. Ha già annunciato che, in caso di vittoria, nominerà Georgescu primo ministro: una scelta che metterebbe a capo del governo proprio l’uomo al centro dello scandalo elettorale dell’anno scorso.

Nel frattempo, l’Europa guarda con preoccupazione. La Romania è un paese chiave sul fianco orientale della NATO, e una sua deriva illiberale potrebbe avere effetti a catena, sia in termini geopolitici che economici. Il ballottaggio del 18 maggio non sarà solo una scelta tra due candidati, ma una resa dei conti sul futuro democratico del paese. Proprio sulla Nato la frangia di destra sembra essere insofferente e sebbene i candidati di destra vedono di buon occhio l’amministrazione Trump, in campagna elettorale hanno espresso la volontà di restringere la presenza militare Usa in Romania.

Il trionfo di Simion non è soltanto il frutto di una campagna aggressiva e abilmente costruita sui social, ma anche il sintomo di una stanchezza diffusa verso un sistema percepito come distante, inefficace e corrotto. Dopo oltre trent’anni di transizione democratica, una parte significativa della popolazione, soprattutto nelle aree rurali e tra i giovani disillusi, ha smesso di credere che le élite tradizionali possano rappresentare i loro interessi. Simion ha saputo intercettare questa rabbia, alimentandola con slogan semplici e diretti, e promettendo di “ripulire Bucarest” da burocrati e traditori della patria.

La sua proposta di portare al governo Călin Georgescu, ex funzionario ONU con simpatie complottiste e posizioni ambigue sull’Occidente, è un messaggio chiaro: rompere con Bruxelles, rilanciare il nazionalismo economico e perseguire una politica estera più autonoma se non addirittura filorussa. In un paese dove l’adesione all’UE è ancora largamente sostenuta, ma sempre più condizionata da fattori identitari e sociali, il rischio di una radicalizzazione politica è reale.

Il secondo turno sarà decisivo. Nicușor Dan, civico, tecnocrate, ex attivista per la trasparenza, cercherà ora di costruire un fronte repubblicano per arginare Simion, ma il tempo è poco e le ferite nel campo moderato sono profonde. Resta da vedere se l’elettorato centrista e liberale si mobiliterà o se prevarrà la sfiducia nel sistema. In gioco, più che la presidenza, c’è la direzione futura della democrazia romena.