Cultura

Oscar, trionfa Oppenheimer e perde il politicamente corretto

11
Marzo 2024
Di Ilaria Donatio

“Un giorno però vorrei stringerla, quella dannata statuetta” aveva detto l’attore e produttore britannico Gary Oldman che poi una statuetta per L’ora più buia, come miglior attore protagonista (interpretando Winston Churchill) l’ha stretta per davvero nel 2018. E chissà quanti, tra i grandi (e meno grandi) nomi del cinema mondiale hanno sospirato almeno una volta nella loro vita, al pensiero di poter vincere un Oscar prima di porre termine alla propria carriera.

Anche quest’anno, come nella migliore delle tradizioni, prima della cerimonia degli Oscar condotta ieri notte dal presentatore Jimmy Kimmel, vi è stato un gran parlare e un gran sospirare. E il tanto temuto esito che aveva condizionato il più recente passato degli Academy Awards, è stato sventato: finalmente ha vinto il grande cinema  e ha perso il politicamente corretto

Trionfa Oppenheimer
A trionfare nella categoria principale è stato il potentissimo film di Christopher Nolan, uno degli autori più importanti del cinema contemporaneo, che si è anche portato a casa una altrettanto meritata statuetta come miglior regista.

Il film di Cristopher Nolan sull’inventore della bomba atomica si è presentato con tredici candidature e ne ha portate a casa sette, tra cui alcune nelle categorie più ambite: miglior regia per Nolan, miglior attore protagonista per Cillian Murphy, miglior attore non protagonista per Robert Downey Junior , migliore colonna sonora a Ludwig Goransson, ma anche miglior montaggio a Jennifer Lame e migliore fotografia a Hoyte van Hoytema.

Oppenheimer dunque vince (quasi) tutto per la sua potenza che sta proprio nel fatto che non vuole dare risposte ma creare domande nello spettatore.

“Viviamo tutti nel mondo di Oppenheimer, voglio dedicare il premio agli operatori di pace ovunque“, ha detto Murphy nel suo discorso di accettazione del premio. Mentre meraviglioso Robert Downey Junior che ha ringraziato  “l’infanzia disastrosa e l’Academy, in quest’ordine”, mentre ritirava l’Oscar. La star di ‘Iron Man’ si è scontrata con alcuni grandi di Hollywood, tra cui Robert De Niro (Killers of the Flower Moon) e Ryan Gosling (Ken di Barbie).

Lo scarso peso degli equilibri inclusivi che negli anni scorsi avevano fatto molti danni: la sceneggiatura non originale ad «American Fiction» premia un film che irride l’invadenza del politically correct, così come l’Oscar alla bravissima Emma Stone ha lasciato da parte le giustificazioni che l’anno scorso avevano fatto vincere (ingiustamente) un’attrice orientale (Michelle Yeoh per «Everything Everywhere All At Once») ma che quest’anno non sono serviti alla pur brava Lily Gladstone, prima nativa americana a essere nominata, per strappare il riconoscimento come miglior attrice.

E curiosamente proprio nell’anno in cui per la prima volta i 10.817 membri dell’Academy dovevano tener conto degli standard di rappresentazione e inclusione per l’eleggibilità. Come se anche Hollywood si fosse accorta che la ripresa deve partire dalla qualità delle opere e non dalla loro correttezza.

Miglior attrice protagonista Emma Stone 
La statuetta per la migliore attrice protagonista è andata a Emma Stone, protagonista di “Povere creature” (di Yorgos Lantimos), che ha ritirato il suo secondo Oscar dopo “La La Land”. Sempre a “Povere creature” sono spettati i premi per la migliore scenografia e i migliori costumi, quest’ultimo annunciato da un John Cena completamente nudo. Miglior attrice non protagonista a Da’Vine Joy Randolph per “The Holdovers – Lezioni di vita”.

L’Italia a mani vuote
Delusione per Io Capitano, il film di Matteo Garrone che era riuscito a ottenere una candidatura come Miglior film internazionale. Il premio è stato vinto da La zona d’interesse di Jonathan Glazer, che racconta la vita quotidiana del comandante di Auschwitz Rudolf Höß e di sua moglie Hedwig accanto al campo di concentramento. “Le nostre scelte non sono state fatte per dire ‘Guarda cosa facevano allora’, ma ‘Guardate cosa facciamo adesso’. Siamo qui come uomini che rifiutano che il loro essere ebrei e l’Olocausto vengano dirottati da un’occupazione che ha portato al conflitto per così tante persone innocenti”, ha detto il regista britannico accettando la statuetta. 

I premi alla migliore sceneggiatura originale e non originale sono andati rispettivamente a Justine Triet e Arthur Harari per Anatomia di una caduta e a Cord Jefferson per American Fiction. Miglior film d’animazione Il ragazzo e l’airone, di Hayao Miyazaki. Unica statuetta portata a casa da Barbie, su otto candidature, quella per la migliore canzone originale, ritirata da Billie Eilish e Finneas O’Connell, alla loro seconda vittoria nella categoria dopo No Time to Die, scritta per l’omonimo film nel 2022.

Il primo film ucraino a vincere
L’Oscar per il miglior documentario è stato assegnato al film 20 giorni a Mariupol diretto da Mstyslav Chernov ed è il primo film ucraino a vincere l’ambita statuetta. Salendo sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles, Cherenov ha dichiarato di essere “onorato” di portare a casa il primo Oscar per l’Ucraina, sottolineando però che avrebbe preferito non girare il film.

“Probabilmente sarò il primo regista a dire che non avrei mai voluto fare questo film – afferma Chernov – Vorrei poter scambiare questo premio con la Russia che non attacca mai l’Ucraina, non occupa le nostre città e non uccide decine di migliaia dei miei connazionali. Ma non posso cambiare la storia, non posso cambiare il passato”. “Ma noi, tutti insieme, possiamo garantire che la storia venga chiarita e la verità prevalga; che la gente di Mariupol e coloro che hanno dato la vita non saranno mai dimenticati perché il cinema forma i ricordi, e i ricordi formano la storia”.

Chernov ha concluso il suo discorso dicendo “Slava Ukraini”, che significa Gloria all’Ucraina, frase diventata più popolare dopo lo scoppio della guerra. Il documentario, che ha visto la partecipazione di Michelle Mizner e Raney Aronson-Rath, reporter dell’Associated Press, racconta i primi giorni dell’invasione russa in Ucraina e l’assedio e la distruzione della città di Mariupol avvenuti due anni fa.