Economia
Tether, il colosso crypto che vuole la vecchia signora
Di Lorenzo Berna
Le indiscrezioni su una possibile acquisizione, da parte di Tether, del 65,4% del capitale della Juventus, hanno riportato l’attenzione su un soggetto che, al di là del calcio, occupa ormai una posizione centrale nell’ecosistema finanziario globale legato alle criptovalute. Il dossier bianconero, al momento privo di qualsiasi formalizzazione, rappresenta più che altro un segnale: l’emittente della stablecoin USD₮, che è già socio di minoranza del club bianconero, sta cercando una visibilità e una legittimazione che vanno ben oltre il perimetro tradizionale del mondo crypto.
Tether è oggi la società che controlla la stablecoin più utilizzata al mondo. USD₮, ancorata al dollaro statunitense, ha una capitalizzazione superiore ai 170 miliardi di dollari, più del doppio rispetto alla principale concorrente, USDC. Una massa monetaria che rende Tether un’infrastruttura di fatto indispensabile per il funzionamento dei mercati delle criptovalute, utilizzata quotidianamente su exchange, piattaforme di trading e nei flussi di pagamento transfrontalieri.
Negli ultimi mesi, attorno alla società si sono intensificate anche le voci su un possibile aumento di capitale tramite private placement. L’operazione, ancora allo stadio di ipotesi, porterebbe Tether a raccogliere tra i 15 e i 20 miliardi di dollari, con una valutazione complessiva che potrebbe avvicinarsi ai 500 miliardi. Una cifra che collocherebbe l’azienda tra le realtà private più valorizzate al mondo, davanti a colossi tecnologici come SpaceX o ByteDance. Secondo indiscrezioni, tra i soggetti interessati figurerebbero grandi investitori internazionali come Softbank e ARK Invest, a conferma del fatto che Tether non viene più percepita come una semplice società crypto, ma come una piattaforma finanziaria globale.
Il cuore del modello resta la promessa di stabilità. USD₮ è progettata per valere sempre un dollaro, grazie a riserve dichiarate in contanti, titoli del Tesoro statunitensi, oro e altri asset. Proprio su questo punto, però, si è concentrata negli anni gran parte delle critiche. Nel 2018 il temporaneo sganciamento dal dollaro aveva scatenato il panico sui mercati, mentre le indagini delle autorità americane avevano messo in discussione la trasparenza delle riserve. Quelle vicende si sono chiuse nel 2021 con un patteggiamento da 18,5 milioni di dollari con la procura di New York.
Da allora Tether ha rafforzato la propria posizione finanziaria. Oggi detiene titoli di Stato statunitensi per circa 127 miliardi di dollari, una quantità superiore a quella posseduta da diversi Paesi sovrani. Ogni transazione in USD₮ contribuisce, di fatto, ad aumentare la domanda di debito pubblico americano, rafforzando indirettamente il ruolo globale del dollaro. È anche per questo che alcuni osservatori hanno iniziato a definire Tether «too big to fail», troppo grande per poter essere lasciata fallire senza conseguenze sistemiche.
Alla guida della società ci sono due italiani. Giancarlo Devasini, fondatore e presidente, ex chirurgo plastico diventato trader, è la figura più riservata e meno esposta mediaticamente, ma anche il principale beneficiario della crescita del gruppo. Paolo Ardoino, amministratore delegato dal dicembre 2023, ne è invece il volto pubblico e il principale interprete strategico. Le simpatie politiche dei vertici, apertamente favorevoli a Donald Trump, si riflettono anche nelle scelte di posizionamento dell’azienda.
Il contesto normativo statunitense sta infatti cambiando rapidamente. Con il Genius Act, firmato da Trump, le stablecoin vengono riconosciute come strumenti di pagamento a tutti gli effetti, a condizione che le riserve siano denominate in dollari o titoli del Tesoro e rendicontate mensilmente. La legge consente inoltre anche a soggetti non finanziari di emettere stablecoin, ampliando il perimetro della concorrenza. Tether ha già reagito annunciando lo sviluppo di una nuova criptovaluta, USAT, pensata specificamente per il mercato americano.
È in questo quadro che vanno letti anche i rumor su un possibile investimento nella Juventus. Non come un’operazione sportiva in senso stretto, ma come un tassello di una strategia di posizionamento più ampia. Il calcio, con la sua visibilità globale e la sua capacità di costruire consenso, diventa uno strumento di soft power per un soggetto che muove capitali comparabili a quelli di una banca centrale, ma opera ancora ai margini dei circuiti finanziari tradizionali.
Che si concretizzi o meno, l’ipotesi Juventus segnala una trasformazione già in atto. Tether non è più soltanto una stablecoin: è un attore che intreccia finanza digitale, geopolitica, regolazione e comunicazione globale. E il vero terreno di gioco, più che i campi da calcio, resta quello dell’equilibrio futuro tra criptovalute e sistema finanziario internazionale.





