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X, la multa Ue e le «crepe strutturali» del sistema: l’analisi di Flora

09
Dicembre 2025
Di Giuliana Mastri

Secondo Matteo Flora, esperto di digitale e imprenditore nel settore tech, la sanzione da 120 milioni di euro contro X rappresenta «la prima applicazione piena del Digital Services Act» e soprattutto un atto che colpisce tre precise violazioni tecniche, ben più rilevanti della cifra in sé. Flora definisce queste violazioni «crepe strutturali» dell’architettura di X, rese ancora più evidenti dalla trasformazione impressa da Elon Musk dopo l’acquisizione.

Il primo elemento è la questione della spunta blu: non più un indicatore di identità certificata, ma un servizio acquistabile, accompagnato da funzioni aggiuntive pensate per favorire visibilità e diffusione dei contenuti degli abbonati. Flora mette in evidenza il nucleo del problema: X avrebbe deliberatamente omesso di comunicare con chiarezza che la spunta non certifica nulla, inducendo gli utenti a confondere il badge a pagamento con un attestato di autenticità. Si tratta, secondo l’esperto, di un tipico dark pattern: un design fuorviante che genera un falso senso di credibilità e amplifica il rischio di manipolazione informativa.

La seconda violazione riguarda la piattaforma pubblicitaria e, in particolare, il mancato rispetto dell’obbligo di mantenere un archivio accessibile e interrogabile delle inserzioni, come richiesto dal DSA. Flora ricostruisce un quadro preciso: la pagina in cui dovrebbero essere consultabili gli annunci presenta filtri incompleti, scarsa usabilità, risultati che non corrispondono alle ricerche e, soprattutto, l’assenza di elementi chiave quali targeting, gruppi di pubblico raggiunti, periodo di diffusione e spesa stimata. È una «scatola nera» che impedisce la tracciabilità delle campagne e rende impossibile verificare eventuali strategie di disinformazione, micro-targeting politico o manipolazione dell’opinione pubblica.

Il terzo punto, secondo Flora il più grave sotto il profilo sistemico, riguarda il diniego dei dati ai ricercatori. X aveva l’obbligo di garantire un accesso minimo a dataset utili allo studio delle dinamiche sociali, del funzionamento dell’algoritmo e della diffusione dei contenuti problematici. L’azienda, invece, ha bloccato o fortemente limitato le API, alzato i costi di accesso, tagliato collaborazione con centri accademici e reso di fatto impossibile qualunque analisi indipendente. Una scelta che, per Flora, «mina il principio stesso di controllo democratico sull’ecosistema delle piattaforme», perché senza ricerca non è possibile valutare né gli effetti del ranking algoritmico né la presenza di campagne coordinate.

Questi tre elementi, analizzati congiuntamente, delineano secondo Flora un modello basato sulla opacità deliberata. La spunta ridisegnata come leva commerciale, il registro pubblicitario inutilizzabile e la chiusura verso la ricerca non sono incidenti di percorso, ma parti di un’unica strategia: «massimizzare engagement e ricavi impedendo allo stesso tempo qualunque audit esterno». Il DSA, però, introduce obblighi chiari: trasparenza sul funzionamento degli algoritmi, accesso ai dati per i ricercatori qualificati, correttezza nelle interfacce, tracciabilità delle inserzioni.

Per questo, osserva Flora, la multa non va letta come una sanzione spot, ma come un precedente normativo che potrebbe cambiare gli equilibri dell’intero settore. Bruxelles non contesta semplici infrazioni procedurali, ma afferma che la manipolazione dell’architettura informativa – persino nei dettagli più tecnici, dall’etichettatura dei profili alla struttura delle API – è una responsabilità diretta della piattaforma. «È il primo segnale che l’epoca dell’autoregolamentazione è finita», scrive l’esperto.

Nella sua conclusione, Flora individua il punto politico: se X non modificherà le proprie infrastrutture, rischia non solo ulteriori multe ma anche limitazioni operative nel mercato europeo. È un test cruciale per capire se le big tech saranno disposte ad accettare un nuovo paradigma in cui trasparenza, auditabilità e responsabilità algoritmica diventano parte integrante del business. La sanzione, dunque, non chiude un capitolo, ma apre una fase in cui la sostenibilità dei social passa per la capacità di mostrare ciò che finora è rimasto nascosto.

Sul piano politico-regolatorio, la vicenda segna anche un passaggio di maturità dell’Unione Europea come attore normativo globale. Con questa sanzione, Bruxelles mostra di voler misurare direttamente la propria forza negoziale nei confronti delle piattaforme, senza più delegare al dialogo informale o all’autoregolazione la gestione dei rischi sistemici. È un gesto che parla tanto agli Stati Uniti quanto ai grandi gruppi tecnologici: l’Europa non intende limitarsi a regolare il mercato, ma rivendica il diritto di influenzare l’architettura stessa dello spazio informativo. In questo scenario, osserva Flora, X diventa un caso-scuola. La risposta di Musk a queste pressioni — se scegliere il conflitto, l’adattamento o una strategia ibrida — sarà un test cruciale per capire se il DSA potrà aspirare a un ruolo di standard internazionale o se rimarrà un quadro vincolante solo entro i confini europei. L’esito non riguarderà soltanto la compliance delle piattaforme, ma il futuro equilibrio tra potere regolatorio pubblico e capacità privata di modellare la sfera digitale.