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“Dal Silenzio all’Azione”: quando il lavoro è un presidio contro la violenza. Parla Scelza

05
Dicembre 2025
Di Elisa Tortorolo

(Articolo pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
La violenza non si ferma alle mura di casa: spesso si reca in ufficio, si insinua nelle email, si riversa sulla vita professionale. Da ciò nasce “Dal Silenzio all’Azione”, documento di Valore D per trasformare i luoghi di lavoro in spazi capaci di offrire aiuto.  «Fare rete è fondamentale», spiega la Presidente di Valore D, Cristiana Scelza. 

Presidente, da dove nasce la vostra policy in collaborazione con Permesso Negato e Una Nessuna Centomila?

«Dalla consapevolezza che il luogo di lavoro può diventare un punto di osservazione e di sostegno: le persone vi trascorrono gran parte della loro vita e le connessioni possono fare la differenza. Secondo il report D.i.Re 2025, oltre il 40% delle donne accolte nei centri antiviolenza ha un lavoro: aconferma che il contesto lavorativo è cruciale per riconoscere, prevenire e agire. Il nostro impegno si inserisce in una traiettoria avviata nel 2018, quando abbiamo iniziato a contrastare le molestie di genere e sessuali nei luoghi di lavoro. Poi, nel 2024, abbiamo ampliato il perimetro e affrontato in modo strutturato anche la violenza di genere, collaborando con esperti e associazioni. Abbiamo una responsabilità comune, il senso della rete è fondamentale».

In che modo il progetto può aiutare i colleghi a riconoscere i segnali di violenza?

«Una vittima porta con sé conseguenze che inevitabilmente impattano sul lavoro. Da una recente indagine SWG per Valore D, l’80% delle donne si aspetta un impegno concreto dalle imprese e oltre il 60% chiede un ruolo ancora più incisivo. Rispondiamo con strumenti pratici: linee guida per riconoscere segnali di disagio, canali di ascolto, formazione per HR e manager, partnership con centri antiviolenza. Nel secondo volume, dedicato al digitale, abbiamo aggiunto indicazioni per intercettare comportamenti online che possono preludere a molestie o cyberviolenza: il fenomeno si evolve e richiede risposte mirate».

Tra i verbi fondamentali che elencate – Informare, Svelare, Sostenere, Amplificare -, qual è il più critico per l’azienda?

«Il commitment: serve una responsabilità chiara dei vertici, tradotta in risorse e processi. Non solo un’azione “emotiva”, ma un percorso strutturato tra più attori. “Sostenere” significa offrire aiuto concreto: permessi retribuiti per chi denuncia, supporto psicologico, accesso a consulenze legali, e – ove possibile – sostegno economico. Alcune aziende hanno attivato fondi dedicati o convenzioni con strutture di accoglienza. Fare squadra è essenziale: HR, manager, colleghi e partner esterni devono collaborare per creare un ecosistema di protezione».

Perché dedicare l’aggiornamento del report al digitale?

«Per accendere i riflettori su una violenza subdola, spesso minimizzata a“goliardia”. La diffusione non consensuale di immagini intime, il cyberstalking, il doxxing sono reati, ma molti non ne hanno consapevolezza. Il primo passo è informare: far capire che anche la semplice condivisione di un contenuto senza il consenso della persona interessata è punibile. Una best practice: Microsoft ha introdotto programmi di “cultural reset” e strumenti per segnalare contenuti abusivi, integrando formazione interna e campagne di sensibilizzazione. Altre aziende hanno investito in soluzioni tecnologiche avanzate per prevenire episodi di molestie in ambienti digitali e ibridi, con sistemi di AI per il monitoraggio di comportamenti inappropriati, chatbot dedicati per segnalazioni anonime e sicure e dashboard in tempo reale per i team HR. La tecnologia può essere parte della soluzione».

L’Italia dovrà recepire la direttiva sulla trasparenza retributiva: cosa chiedete?

«La direttiva è un passo fondamentale per l’equità. Chiediamo alla politica un dialogo costante con le imprese più virtuose, per condividere esperienze e criticità. È un’opportunità per trattenere talenti e rendere il mercato più competitivo. Ma serve accompagnamento: informazione, formazione e strumenti chiari. Oggi c’è ancora molta confusione. La trasparenza non è solo compliance, ma cultura organizzativa».

Il femminicidio è reato, mentre lo stop in Senato sul consenso ha rotto l’unità politica. Ma, oltre le norme, cosa serve?

«Le norme sono essenziali, ma non bastano: serve un cambiamento culturale profondo che parta dalle scuole, con educazione al rispetto e alla parità. Un tassello cruciale è rappresentato dalla condivisione delle responsabilità familiari: il congedo di paternità non è solo welfare, ma prevenzione. È stato dimostrato che padri più coinvolti crescono figli meno inclini alla violenza. Accanto alle leggi, servono politiche di conciliazione, formazione continua nelle aziende e sensibilizzazione. La sfida è trasformare la norma in prassi, con un impegno sinergico di istituzioni, imprese e società civile».