A volte comincia tutto da un PIN cambiato, da un portafogli che scompare dal tavolo, da una frase buttata lì: «Non serve che lavori». La violenza raramente inizia con un gesto eclatante: prende forma prima, nei dettagli che passano inosservati. Oggi, 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, i numeri continuano a raccontare una realtà che non si arresta. Secondo l’ultimo rapporto dell’Istat, sono 6,4 milioni le donne tra i 16 e i 75 anni che hanno subìto violenze fisiche o sessuali: quasi una su tre.
Nel 2024, in Italia, i femminicidi sono stati poco più di cento, un numero che resta drammaticamente stabile negli ultimi anni. Le donne con disabilità sono ancora più esposte: per loro il rischio può essere fino a quattro volte superiore. E mentre le istituzioni provano a rispondere, nuove forme di abuso crescono nello spazio digitale, dai deepfake pornografici alle app che generano immagini intime senza consenso.
La violenza arriva da partner ed ex partner, ma anche da conoscenti e sconosciuti: il 26,5 per cento delle donne ha subito abusi da non partner; tra chi ha o ha avuto una relazione, il 12,6 per cento ha subìto violenza fisica o sessuale. Nel mondo, UN Women ricorda che 50mila donne nel 2024 sono state uccise in famiglia: 137 ogni giorno.
La violenza economica: una schiavitù moderna
Esistono tanti tipi di violenza, e molti non lasciano segni sulla pelle. L’Adoc definisce la violenza economica una «moderna forma di schiavitù». Spesso comincia come finta protezione – «Ci penso io alle finanze» – e si trasforma in esclusione dalle decisioni, chiusura dei conti, ritiro delle carte, persino «debiti condivisi» intestati alla vittima. L’obiettivo è l’isolamento. Per questo l’Adoc, con Abi, Notariato, FEduF e Banca d’Italia, punta sull’alfabetizzazione finanziaria delle ragazze.
Microaggressioni e mansplaining sul lavoro
C’è poi la violenza che si consuma nei luoghi di lavoro e sembra, all’inizio, solo maleducazione. Uno studio dell’Università di Trento mostra come mansplaining, correzioni paternalistiche e micro-aggressioni possano diventare, nel tempo, bullismo professionale e mobbing, erodendo reputazione e opportunità di carriera. Le piccole offese quotidiane diventano terreno fertile per comportamenti più pesanti.
Le donne più esposte: disabilità e violenza
La violenza colpisce soprattutto chi ha meno strumenti per difendersi. L’Aipd ricorda che per le donne con sindrome di Down il rischio è fino a dieci volte superiore. Il Viminale registra 540 reati contro donne con disabilità in un anno, +66 per cento: maltrattamenti, violenze sessuali, atti persecutori. Per loro spesso mancano linguaggi, contesti di ascolto, percorsi protetti. Per questo Aipd lancia formazione, un convegno e un vademecum per costruire relazioni sicure.
Le parole delle istituzioni
Le istituzioni convergono su un punto: la violenza non è un fatto privato. Il Presidente Mattarella ricorda che «il principio della parità tarda ad affermarsi» e che il digitale amplifica umiliazioni e coercizioni. Giorgia Meloni parla di «atto contro la libertà. Di tutti» e rivendica il rafforzamento del codice rosso, il raddoppio dei fondi ai centri antiviolenza e il reddito di libertà.
La legge sul femminicidio
Proprio oggi, 25 novembre, la Camera potrebbe approvare in via definitiva la nuova legge che introduce nel Codice penale il reato autonomo di femminicidio. Il testo, firmato dai ministri Nordio, Piantedosi, Roccella e Casellati, ha già ottenuto l’approvazione unanime del Senato e, anche a Montecitorio, dovrebbe passare con voto bipartisan. L’asse Meloni-Schlein – già consolidato sulla legge «senza consenso è reato» – tiene anche su questa misura, frutto del lavoro delle relatrici Varchi (Fdi) e De Biase (Pd): un’intesa che arriva proprio nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La norma qualifica come femminicidio l’omicidio di una donna quando motivato da odio, dominio, controllo, discriminazione o dal rifiuto di una relazione, riconoscendo la matrice di genere del crimine e prevedendo pene più severe. Certo, creare un nuovo reato non equivale a risolvere il problema: nessuna norma penale basta da sola. Ma è un passaggio che segna la volontà – politica e simbolica – di chiamare le cose con il loro nome.
Educazione, linguaggio, cultura
L’educazione resta la chiave. Anna Ascani chiede percorsi strutturali di educazione sessuo-affettiva; Antonio Tajani invita a insegnare fin da piccoli che «nessuna gabbia può chiamarsi amore». Beatrice Lorenzin ricorda che la violenza «si fa sempre più giovane» e che rinunciare all’educazione all’affettività «è una follia». Casellati invita a smettere di dire «amore malato»: è violenza, punto. Piantedosi parla di «piaga sociale», Ronzulli di «emergenza nazionale», mentre la Farnesina rilancia l’impegno italiano nelle campagne Onu e nella Convenzione di Istanbul.
Campagne internazionali e nazionali
Il 25 novembre apre i 16 giorni di attivismo dell’Osce, che chiede leggi solide e un cambiamento culturale, coinvolgendo gli uomini come parte della soluzione. UN Women lancia «Nessuna scusa» contro la violenza digitale: deepfake, molestie, contenuti generati con IA. Confcooperative finanzia 36 progetti con il bando «Rompi il silenzio». L’Arma dei Carabinieri rilancia una campagna con Cristiana Capotondi e strumenti come il «Violenzametro» per riconoscere gli abusi.
Gesti e simboli nello spazio pubblico
Accanto alle parole, i simboli. La Bce issa bandiere arancioni. Federmanager e Cnel si illuminano di rosso. Alla Camera tornano le «Scarpette rosse». La Farnesina e molte caserme aderiscono alla campagna «Orange the World». Gesti che ricordano, ogni anno, che la violenza non è un’eccezione ma un sistema che attraversa vite, spazi, istituzioni. Ma la verità è che il 25 novembre serve solo se ci dice cosa fare il 26. La violenza non comincia con un colpo e non finisce con una legge. Inizia dove ci abituiamo a non vedere e finisce solo quando nessuna donna sarà costretta a chiedere protezione per essere libera.






