Economia
Stati Generali Industria: una cura per l’Ue e l’Italia
Di Giuliana Mastri
L’Europa si interroga sul proprio futuro industriale e lo fa nell’ambito degli Stati Generali dell’Industria, intitolati “Verso un’Europa più competitiva: Innovazione, Sostenibilità e Politiche Industriali”, tenutisi a Roma per iniziativa congiunta del Parlamento e della Commissione europea. In un contesto geopolitico sempre più complesso, istituzioni e rappresentanti politici hanno discusso delle sfide e delle priorità da affrontare. Al centro del dibattito, due questioni chiave: la relazione cruciale tra produzione ed energia e i rischi che una perdurante instabilità internazionale potrebbe comportare per l’economia globale.
Sette documenti per un cambio di rotta
L’Italia ha delineato un nuovo indirizzo industriale con la redazione di sette documenti strategici, presentati al Consiglio e alla Commissione europea nei mesi scorsi. Secondo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, tali documenti rappresentano un contributo concreto al dibattito europeo e offrono spunti utili per guidare le scelte future. L’ambizione italiana è quella di imprimere una svolta che favorisca una piena neutralità tecnologica in tutti i settori, visione nella quale l’Italia – sostiene Urso – ha saputo distinguersi per capacità propositiva. Roma, unico paese ad aver partecipato a tutti i progetti europei autorizzati dal 2018, ha ottenuto un ruolo di co-leadership, insieme a Francia e Romania, nello sviluppo di nuove tecnologie nucleari, un ambito in cui le imprese italiane sono già pronte con progetti avanzati.
Il Libro Bianco Made in Italy 2030
In questo quadro si inserisce la redazione del Libro Bianco Made in Italy 2030, una guida strategica per integrare la politica industriale italiana con quella europea. Il documento individua dieci filiere prioritarie: cinque settori tradizionali (alimentare, moda, arredo, automazione e automotive) e cinque emergenti (farmaceutica, cantieristica, nautica, aerospazio, difesa, industria creativa e artistica). Queste ultime, in particolare, stanno registrando una crescita significativa e possono affiancare le filiere storiche nel rafforzamento del tessuto industriale nazionale.
Una nuova politica industriale europea
Le trasformazioni in atto, a partire dagli effetti controversi del Green Deal e del previsto stop ai motori termici nel 2035 (ora in discussione), impongono una revisione dell’intera strategia industriale dell’UE. Secondo Urso, è necessario correggere un’impostazione che ha causato difficoltà evidenti, specialmente nel settore automobilistico, pilastro dell’industria europea e snodo cruciale per settori come chimica, microelettronica e siderurgia. Una crisi dell’auto, infatti, si riflette immediatamente su queste filiere, dimostrando quanto serva affrontare le cause alla radice.
Il ruolo della competitività
Per rafforzare la competitività industriale, serve una visione chiara e coraggiosa, come richiesto da Confindustria. Marco Nocivelli, vicepresidente con delega alle Politiche industriali e Made in Italy, evidenzia l’urgenza per l’Europa di dotarsi di una politica industriale solida e pragmatica. Il Clean Industrial Deal è un primo passo, ma non sufficiente: è necessaria una cornice strategica più ampia, che includa supporti concreti alle filiere ad alte emissioni (hard-to-abate), investimenti mirati e tempi realistici. La transizione deve integrarsi con il digitale in modo coerente, evitando approcci ideologici.
Rapporti transatlantici e stabilità globale
Barbara Cimmino, vicepresidente di Confindustria per l’Export e gli Investimenti, avverte che le tensioni geopolitiche possono generare un clima di incertezza prolungato, frenando il commercio internazionale con una contrazione stimata tra il -2% e il -2,5% secondo il Centro Studi Confindustria. In questo contesto, la relazione economica tra UE e Stati Uniti si conferma fondamentale. Con un interscambio che nel 2024 ha superato i 1.600 miliardi di euro e investimenti bilaterali pari a oltre 5.300 miliardi di dollari, il legame transatlantico sostiene quasi 10 milioni di posti di lavoro, distribuiti in modo equilibrato tra le due sponde dell’Atlantico.





