Politica

2 Giugno, la parata delle Crocerossine. Intervista all’Ispettrice Nazionale Emilia Bruna Scarcella

02
Giugno 2023
Di Marco Cossu

«Il battimano più fragoroso lo si sente quando passano i bersaglieri e le crocerossine». Per anni sono state l’unico Corpo delle Forze armate ad ammettere donne nel propri ranghi e sono ancora oggi l’unico Corpo composto esclusivamente al femminile a sfilare durante la parata del 2 Giugno, Festa della Repubblica. Il Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana, conosciute affettuosamente come Crocerossine è un Corpo ausiliario delle Forze armate che da 115 anni è presente negli scenari più complessi per offrire assistenza ai più vulnerabili, dalle emergenze nel territorio nazionale alle missioni di Pace all’estero. Come le Forze armate, le Crocerossine hanno i loro gradi, una divisa, una lunga formazione, ma anche una lunga storia e una forte identità. Tra loro si chiamano “Sorelle”. Abbiamo incontrato Sorella Emilia Bruna Scarcella, Ispettrice Nazionale Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana.

Perché si diventa crocerossina?
«É come chiedere a una persona perché si innamora di un’altra. Tutte noi abbiamo ricevuto una chiamata, abbiamo sentito dentro una voce dire “voglio donare”. Volontariato significa questo. Non a caso il motto stampato da 115 anni nelle quattro braccia della croce che portiamo sul petto è “ama, conforta, lavora, salva”. Questo motto racchiude la natura di ognuna di noi, trovo lo stesso sentimento mentre faccio le selezioni alle ragazze che vogliono partecipare al corso per diventare infermiera volontaria. Il volontariato vorremmo entrasse più nei cuori delle persone, sembra che in questo mondo ci sia bisogno di fare qualcosa se poi si ha un tornaconto, in questo caso monetario. Siamo mamme, nonne, figlie, abbiamo il nostro lavoro. Io sono un architetto paesaggista, mi occupo di giardini». 

Com’è entrata nel Corpo?
«Ci sono entrata trent’anni fa. Sono figlia di un Generale. Mio papà è stato uno degli ufficiali più belli che l’Esercito abbia potuto avere. Non lo dico perché sono sua figlia. Ci ha trasmesso il valore per le regole. Quando guardavamo la parata mi diceva: “Stai attenta, ora arrivano le Crocerossine”. Ero un ragazzina. “Guarda come sono belle, eleganti”. E lo erano. Sarà per l’uniforme, per me la più bella del mondo, sarà perché vedevo arrivare 80 donne tutte insieme. Però, se non avessi avuto quel fuoco dentro, non avrei mai fatto questa scelta. Come tutti i corpi delle forze armate abbiamo la nostra patrona, Santa Caterina da Siena, era un’infermiera. Una delle frasi più belle che lei diceva era “andate, fate quello che sapete fare e infuocherete il mondo.” A me si è accesa questa fiammella. Avevo circa trent’anni. Sono andata in via Marcello Pucci, sede della Croce Rossa di Milano, ho fatto il corso e sono diventata una delle circa 12000 infermiere volontarie della Croce Rossa italiana – Ausiliari delle forze armate».

Come si diventa Infermiere Volontarie?
«Dopo aver frequentato un corso che dura due anni. È un diploma della CRI. Per diventare volontario della Croce Rossa Italiana il corso d’accesso dura dalle 16 alle 18 ore. Per essere crocerossina ne occorrono 2000, due anni della nostra vita. Dà una cultura a 360 gradi, infermieristica, sociale, sanitaria. Non ci sostituiamo mai agli infermieri a meno che nella vita un’infermiera non decida di fare la crocerossina, pur essendo infermiera deve tuttavia fare il nostro corso». 

Quali sono le mansioni che svolgete?
«Siamo vicine a tutte le esigenze dei più vulnerabili. In qualsiasi momento si presenta una vulnerabilità, dalle calamità naturali a un dirottamento aereo, noi Crocerossine possiamo intervenire affiancando le forze armate. I terremoti sono eventi particolari, non sono programmabili, arrivano quando decidono loro. Alcune di noi hanno fatto il corso con l’Aeronautica per il soccorso SAR, altre di noi sono formate per essere presenti negli aeroporti quando c’è un disastro. Diamo assistenza ai parenti, per stare vicino a delle persone che non sanno ancora nulla di quanto accaduto. Alcune Sorelle hanno partecipato alle esercitazioni con la Marina sulla nave Cavour. Abbiamo dato anche il nostro apporto durante la pandemia, siamo state a Leopoli con la Croce Rossa per prestare aiuto in momenti particolarissimi». 

Prendete parte anche nelle missioni militari all’estero… 
«Le missioni devono essere di pace e ci deve essere la stabilità di un campo, di un ospedale da campo. Le missioni militari ora stanno diventando sempre più pericolose e c’è stato uno stacco. Le ultime all’estero sono state corpose e pericolose. Siamo state a Baghdad e Nassiriya, siamo state anche in Kosovo, in Libano e Afghanistan. Eravamo presenti ad Haiti durante il terremoto con la nave Cavour, la nave fungeva da ospedale. Siamo state presenti trent’anni fa anche in Somalia. Una nostra Sorella, Maria Cristina Luinetti, ha perso la vita insieme a un medico somalo che curava un ferito, uccisi da un guerrigliero entrato nell’infermeria».

In quanto Corpo ausiliario avete dei gradi militari
«I nostri gradi sono riconosciuti nelle forze armate, quando ci incontrano i militari fanno il saluto. I nostri sono gradi di funzione, ci vengono dati con l’incarico che riceviamo. In quanto ispettrice nazionale ho il grado di Generale di Brigata, ho una greca e una stella. Le Vice hanno il grado di Colonello. Abbiamo 21 ispettrici regionali che sono dei Maggiori, le ispettrici territoriali – 165 in Italia – sono Capitani. Appena conseguito il diploma riceviamo la croce e la stelletta. Quando finisce la nostra funzione, torniamo a far parte del nostro meraviglioso esercito, in guerra ci chiamavano la milizia bianca per via della nostra uniforme. Sono gradi meravigliosi che noi portiamo con orgoglio»

Ci racconti dell’origine del Corpo che guida
«Le Crocerossine celebrano quest’anno i 115 anni. Il Corpo è stato fondato ufficialmente il 9 febbraio 1908 a Roma anche se il primo corso è nato a Milano nel 1906. Il Corpo ha prestato servizio per la prima volta nel 1908 durante il tragico terremoto di Reggio Calabria e di Messina. Tempi non facili, sia per una donna, sia per com’era configurata l’Italia. Da Milano le Crocerossine attraversarono il Paese e arrivarono a dare i primi soccorsi».

Tra di voi vi chiamate “Sorelle”, un lascito del passato…
«La nostra prima Ispettrice era la Duchessa D’Aosta. Ci diede l’appellativo di Sorelle non sulla base di un’ispirazione religiosa, come potrebbe sembrare dalla nostra divisa. Ci chiamiamo “Sorelle” nel senso di famiglia, di chi ti sta vicino, come una sorella. Un termine ufficiale, contenuto nel regio decreto del 1942. “Sorelle” perché, lo dico con orgoglio, è l’unico Corpo tutto al femminile, da 115 anni. Ha presente la frase non ci hanno sentito arrivare? Potrei dire che nel 1906 non ci hanno sentito arrivare e dalle 8000 alle 10000 Sorelle hanno preso parte alle due guerre mondiali. Questo avveniva in un momento storico in cui bisogna chiedere autorizzazione al padre, al fratello al marito, per diventare volontarie. Ora siamo 12000, tutte donne. Sorella così era così è rimasto, è così spero continuerà ad essere. È l’esserti a fianco».

Partecipate alla parata del 2 Giugno, festa della Repubblica
«Siamo trattate come tutti i soldati. Veniamo inserite nei pacchetti d’ordine dello Stato Maggiore della Difesa, ordini che seguiamo pedissequamente. Il nostro Corpo ha sempre partecipato alla parata, ci addestriamo per farlo. La nostra caserma di riferimento da qualche anno è la Scuola di Fanteria di Cesano dove veniamo affidate a degli addestratori, gli stessi che addestrano gli altri corpi delle forze armate. Per addestrarsi al meglio chi lavora prende giorni di ferie. Ci addestriamo dalle 6 alle 8 ore al giorno, per circa 15 giorni. I risultati sono sempre stati ottimi. Lo facciamo con un orgoglio pari all’onore di poter sfilare in via dei Fori Imperiali. Le posso assicurare che il battimano più fragoroso lo si sente quando passano i bersaglieri e le Crocerossine. Solo dal 2000 le donne hanno avuto la possibilità di entrare a far parte delle forze armate entrando in plotoni misti. Per decenni siamo state le uniche donne ammesse e ora siamo l’unico Corpo esclusivamente composto da sole donne. Questo colpisce. Provi a immaginare questo prima del 2000 quando i reparti erano solo al maschile… poi arrivavano le Infermiere Volontarie». 

Un’esperienza che l’ha particolarmente colpita
«Sono anche volontaria nelle carceri. È un mondo di cui si parla molto poco, molto complesso. Lì ho tantissimi ricordi che ho nel cuore di cui si dovrebbe parlare di più. C’è però una cosa che mi ha colpito in particolare, una cosa che mi è stata detta durante la pandemia, quando tutti ci siamo messi in gioco. Non potevamo toccare le persone malate, avevamo le mascherine e le visiere in plastica. C’è chi dice che io sia nata con occhi di natura espressiva, così ho chiesto alle mie sorelle di cercare il più possibile di infondere con gli sguardi “l’ama conforta, salva” alle persone malate che avevano di fronte. Alcune purtroppo sono mancate. Un signore mi ha detto “se non staccherà i suoi occhi dai miei, se mi succederà qualcosa, me ne andrò più serenamente”. Fortunatamente non è successo. Con poche cose che abbiamo da offrire, anche un’espressione, quando è intensa, quando si vuole trasmettere qualcosa, può arrivare al cuore di una persona. E combattere la paura».

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