Politica

Cambia il regolamento del Senato, ora cambiare gruppo non “conviene” più

01
Agosto 2022
Di Pietro Cristoferi

Alla buvette del Senato non serviranno più il Fritto Misto: si tratta di uno dei luoghi di maggiore attrazione per chi si nutre di politica, del chiacchiericcio da corridoio che accompagna le solite indiscrezioni e vicende e i pranzi dei nostri Senatori. Forse non tutti sanno che nella spaziosa Sala Marucelliana, dove è ospitato il bar del Senato, sulla parete prospiciente il bancone da una statua dell’artista Vincenzo Gemito sgorga una cristallina acqua fresca che disseta i frequentatori di Palazzo Madama. Tuttavia sembra proprio che dalla prossima legislatura al banchetto della politica non troveremo più il fritto del “gruppo misto” e i  tanto vituperati cambi gruppo. 

Proprio nella seduta del 27 luglio l’aula del Senato ha deciso di cambiare il menu delle portate: coscienti delle incombenti riduzioni del numero dei parlamentari che scatteranno con l’avvio della prossima legislatura, i senatori hanno approvato alcune modifiche al Regolamento, tra queste anche delle stringenti norme riguardo all’ingresso nel gruppo misto e alla creazione di nuovi gruppi parlamentari e componenti.

“Transfughi”, “cambia-casacca” e ultimamente anche “voltagabbana” alcuni degli epiteti con cui sono stati apostrofati quei parlamentari che per dissenso con il proprio partito hanno presentato le dimissioni e deciso di aderire il più delle volte al famoso gruppo misto o tante altre di crearne di nuovi. In questo momento il gruppo misto con 39 senatori rappresenta a pari merito con il Partito Democratico il 4° gruppo parlamentare al Senato (alla Camera mantiene sempre il primato di 4° gruppo ma con ben 94 deputati).

Con il nuovo regolamento approvato alla luce della riforma costituzionale che ridurrà a 200 i senatori, si è voluto mettere mano tra le altre cose al tema dei cambi di gruppo, cercando di limitarne la frequenza.

Il fenomeno, secondo alcuni, ha assunto rilievi patologici: in questa legislatura  i cambi di gruppo tra Camera dei deputati e Senato sono arrivati a oltre 330. Tuttavia il primato lo detiene la precedente legislatura, la XVII, con ben 569 cambi di gruppo e 348 parlamentari coinvolti (fonte openpolis) segno che alle volte il deputato o il senatore fa un duplice, o triplice salto da uno scranno all’altro dell’emiciclo.

Ma cosa prevede la riforma del regolamento del Senato? C’è una premessa da fare, la nostra Costituzione prevede all’art. 67 che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” ciò rende assolutamente legittimo per i parlamentari il passaggio a un gruppo parlamentare diverso da quello con cui sono stati eletti.

Con il nuovo regolamento del Senato sarà comunque sempre possibile abbandonare il partito con cui si è stati eletti. E di divorzi e separazioni consensuali nell’ultimo mese ne abbiamo visti molti anche tra i maggiori partiti rappresentati in Parlamento. Ultimamente la consuetudine vuole che il “drappello” di parlamentari che abbandona il gruppo si riunisca all’interno del gruppo misto creando una componente oppure crei un nuovo gruppo parlamentare, potendo così accedere a benefici pari a quelli di un partito che abbia partecipato alla competizione elettorale. 

Se il senatore non condivide più ideali e valori con il partito che lo aveva portato sullo scranno di Palazzo Madama, si potrà sempre dimettere ma decadrà da tutti gli incarichi che aveva fino a quel momento ricoperto per il partito: una chiara norma, questa, voluta anche in virtù delle vicende legate a Vito Petrocelli, espulso dal M5S per le sue posizioni filorusse e che non voleva lasciare l’incarico di Presidente della Commissione Esteri del Senato.

Ma c’è di più. Per evitare i trasferimenti ad altro gruppo parlamentare, il Consiglio di presidenza stabiliscela riduzione del 50 per cento del contributo al gruppo del quale il senatore cessa di far parte, attribuendo il 30 per cento della quota proporzionale iniziale al gruppo di destinazione. I risparmi di spesa sono destinati ai bilanci del Senato. Insomma il senatore che abbandona si vedrà decurtato il “tesoretto” che deteneva in virtù della sua appartenenza al partito di elezione, con l’effetto di una sensibile riduzione delle risorse per svolgere la propria attività politica (ad esempio per pagare campagne e collaboratori).

Inoltre, si prevede che un gruppo parlamentare debba avere almeno sei senatori contro gli attuali 10 richiesti e rappresentare un partito o movimento politico che abbia presentato alle ultime elezioni del Senato candidati con lo stesso contrassegno e abbia eletto almeno un senatore, una previsione quest’ultima che limita molto la carta della creazione di nuovi gruppi parlamentari che non abbiano partecipato alla competizione elettorale.

Infine, quei “transfughi” che si dimettono senza iscriversi ad alcun gruppo già costituito verranno ora considerati come “non iscritti ad alcun gruppo”.

Tra le altre cose la riforma del Regolamento mette mano anche a molti altri aspetti, tra questi significativa è la riduzione delle Commissioni permanenti che passano da 14 a 10; tuttavia le modifiche rischiano di essere una rischiosa “anatra zoppa” nel menù delle buvette del nostro sistema bicamerale, perché se al Senato la riforma è già servita, alla Camera i lavori sono in alto mare e il rischio di avere due Camere non omogenee dal punto di vista della struttura interna è molto alto. 

Il 25 settembre si avvicina e nei pensieri estivi delle tavole imbandite dei parlamentari c’è forse più il timore delle candidature che quello dei problemi legati al fritto misto dei gruppi parlamentari della prossima legislatura.