Esteri

Assange, ok all’estradizione. Che succede ora

22
Giugno 2022
Di Giampiero Cinelli

Poco più di una settimana. Il tempo a disposizione degli avvocati di Julian Assange per fare ricorso contro l’estradizione del giornalista australiano negli Stati Uniti. Decisione già presa dalla magistratura di Londra e resa effettiva il 17 giugno dal via libera della ministra degli interni inglese Priti Patel. Le sorti di Assange sembrano sempre più drammatiche. Eppure chi lo assiste e lo sostiene non pensa ad arrendersi.

Il ricorso all’Alta corte britannica, un tribunale di primo grado che sorveglia sull’operato degli organi inferiori è il primo tentativo da fare. Sebbene le speranze siano già ridotte al lumicino. anche perché la Corte Suprema inglese, il tribunale di ultima istanza, si era rifiutata poco tempo fa di riesaminare il caso. Se la mossa non avrà successo, ci si può appellare alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo. Considerando che i giudici inglesi hanno considerato non reale il rischio di suicidio, ignorando le condizioni debilitate di Assange, gli avvocati nei confronti di Strasburgo dovranno fare leva sulla questione relativa alla libertà di stampa, evidenziando come la persecuzione ai danni del fondatore di Wikileaks costituisca un serio pericolo per l’attività dei giornalisti, i quali potrebbero sentirsi inibiti nell’ambito di inchieste molto delicate da portare avanti. Ne risentirebbe così la qualità in generale del lavoro giornalistico. Un argomento questo perorato anche dal Consiglio D’Europa, che lo ha dichiarato in una lettera. In alternativa, è possibile chiedere di riesaminare tutto il il caso e la disposizione londinese.

Se Assange viene preso dagli Stati Uniti, rischia fino a 175 anni di carcere, sommando tutti i reati che il governo Usa gli attribuisce. 17 capi d’accusa, il principale quello di spionaggio, hackerando la rete e pubblicando documenti secretati (relativi ai crimini di guerra in Iraq e Afghanistan) con l’aiuto dell’ex militare Bradley Manning, che oggi è donna e si chiama Chelsea Manning. Intorno ad Assange c’è un grande e molto organizzato movimento d’opinione, guidato da organizzazioni ufficiali. La Freedom Of The Press Foundation, una Fondazione a sostegno della libertà di stampa si schiera con il giornalista australiano, rimarcando come sia sbagliato criminalizzare l’attività di Assange. Non si tratta di condividere o meno le sue idee, ma di rendersi conto – sostiene Trevor Timm, direttore esecutivo della Fondazione – che un individuo non può subire questo per aver rivelato dei documento di interesse pubblico, sia che venga considerato un giornalista o un attivista. Infatti, un tema spesso sollevato a sfavore di Julian Assange, è quello secondo cui il suo non sia stato un vero e proprio atto giornalistico, ma l’azione di un privato cittadino tramite metodi illeciti. Una tesi che giornalisti investigativi come Stefania Maurizi, la quale ha collaborato con Wikileaks sui file impugnati e ha conosciuto personalmente Assange, rigettano.