Politica

I sondaggi, i collegi blindati e non, i trucchi del Rosatellum e la rivolta dei ‘nanetti’

04
Agosto 2022
Di Ettore Maria Colombo

Parola di Ghisleri. I sondaggi? Inutile farli ora
“Non bisogna basarsi solo sui dati usciti in queste settimane. Tutto si deciderà, come sempre, negli ultimi dieci giorni della campagna elettorale”. Vox clamantis in deserto, Alessandra Ghisleri, sondaggista, direttrice di Euromedia Research e – da sempre – sondaggista ‘di riferimento’ del Cav, che solo a lei commissiona analisi di cui si fida, anche perché è tra le pochissime che ci piglia, la partita elettorale è ancora tutta aperta. “Intanto – afferma in un’intervista a ‘Repubblica’ – abbiamo un bacino del 40 per cento di indecisi che possono essere conquistati. Metà di questi quasi sicuramente non andrà a votare: dell’altra metà almeno il dieci si potrà fare allettare da qualche buona proposta, come spesso è avvenuto in passato”. Un esempio? “La proposta di Silvio Berlusconi di eliminare l’Ici e l’Imu nel 2008; gli 80 euro in busta paga di Matteo Renzi alla vigilia delle Europee del 2014; il reddito di cittadinanza proposto dai Cinquestelle nel 2018; la flat tax di Matteo Salvini alle Europee del 2019. Tutte idee che incisero profondamente sul risultato finale”.

Quanto al centrosinistra, per la sondaggista – che però parlava prima dell’accordo Letta-Calenda, serve “una proposta unitaria e concreta, che non destabilizzi e parli al suo elettorato”. Sul fronte M5S, “i Cinquestelle, grazie allo stop del secondo mandato, hanno guadagnato qualche punto dopo mesi di calo ininterrotto nelle rilevazioni. Il che conferma, tra le altre cose, che il desiderio di protesta della gente non si è estinto”. Un malcontento che può essere intercettato da M5S, Lega e Fratelli d’Italia. Ma anche quello degli scontenti è un bacino mobile e vasto, che può decidere all’ultimo momento per chi votare” sottolinea la Ghisleri”. Al centrosinistra consiglia l’alleanza con Calenda già giorni fa, la Ghisleri, “l’unica novità in questo momento”. “Senza M5S e senza Calenda diventerebbe molto complicato competere col centrodestra, che parte avvantaggiato perché molto più omogeneo”. L’M5S “è ancora tra l’8 e il 10 per cento. Molto dipenderà dalla campagna che saprà fare Conte. Anche per loro, soprattutto nel proporzionale”. Quanto a Giorgia Meloni, “sta facendo una campagna con i piedi per terra. Ha chiesto di non fare proposte mirabolanti, perché sa di avere gli occhi di tutti puntati addosso” conclude Ghisleri.

Se quello che dice la Ghisleri è vero (e l’abbiamo riportata per intero perché ci fidiamo, ciecamente) è anche vero che non solo i sondaggi, ma pure gli studi più seri, scrupolosi e ponderati sulle relative proiezioni di voti in seggi (proiezioni che non possono basarsi che su dati degli ultimi sondaggi) sono, sostanzialmente, tutte farlocche o balzane. Per non essere troppo severi, approssimative.

Lo scenario di YouTrend-Agi non lascia dubbi…
Prendiamo, per dire, l’ultimo e più serio studio, elaborato sulla ‘super-media’ dei sondaggi YouTrend-Agi, che usa un metodo ibrido, risultante dall’incrocio dei dati reali dei flussi delle Europee del 2019 con gli esiti dei sondaggi sulle intenzioni di voto condotti negli ultimi giorni (l’ultima settimana) – metodo figlio quel ‘cervellino’ prestato alla Politica (ma solo per un po’: scrisse lo Statuto del Pd), il politologo bolognese Salvatore Vassallo – potrebbe arrivare una “confortevole maggioranza” per il centrodestra, ma…. Secondo l’Istituto Cattaneo la coalizione di centrodestra composta da Lega, FdI e FI sarebbe in vantaggio su un centrosinistra composto nella formazione con cui, da oggi in poi, si presenterà, cioè da Pd, LeU e Sinistra italiana, Verdi, Azione, Italia Viva (che però NON c’è più, ma sempre e solo a partire da oggi…) e Insieme per il Futuro. Nella quota proporzionale, il centrodestra viaggerebbe attorno al 46 per cento, il centrosinistra al 36 per cento (ma qui il Cattaneo conta Iv) e M5s, da solo, avrebbe l’11 per cento.

Nella quota riservata all’uninominale, a parte i collegi storicamente appannaggio della sinistra nella “cintura rossa” e nelle grandi città, il centrodestra prevarrebbe in circa il 70 per cento dei casi, a comporre la forte maggioranza di cui parla l’Istituto Cattaneo. In termini di seggi, la stima si tradurrebbe così: alla Camera 121 seggi per il centrodestra nella quota proporzionale, 96 per il centrosinistra, 28 per M5s. Al maggioritario: 103 seggi per il centrodestra, 42 per il centrosinistra, zero per M5s, due per altre forze. A questi seggi andrebbero aggiunti quella della Circoscrizione Estero: tre per il centrosinistra, uno per M5s e 4 per il centrodestra. In totale, su 400 deputati, a Montecitorio, il centrodestra ne avrebbe 228, il centrosinistra 141 e M5s 29. Andando al Senato, il centrodestra avrebbe un totale di 117 seggi (su 200), risultanti dai 61 del proporzionale, dai 54 del maggioritario e dai due dell’Estero, con il centrosinistra fermo a 68 seggi (48 dal proporzionale, 18 dall’uninominale e due dall’Estero) e M5s a 13, tutti dal proporzionale.

Insomma, l’Istituto Cattaneo – che pure considera un centrosinistra in formato ‘allargato’ (compresa Iv, che non c’è, la presenza di Ipf, che forse neppure si presenterà come lista, la tenuta dei Verdi-SI dentro la coalizione di centrosinistra, in forse) – dà adito a un giudizio impietoso e disperante, per il centrosinistra. “Queste elezioni hanno un esito già scritto” sbottava ieri un parlamentare dem a Montecitorio – “tanto vale accordarci con Meloni per farci dare il ko tecnico, la sconfitta a tavolino, così magari perdiamo 2 a 0 o 2 a 1 e non 4 a 0 o 4 a 1 come finirà alle elezioni ci andiamo davvero”.

I collegi blindati e quelli in bilico o incerti finti
Eppure, dentro il centrosinistra – un po’ per scaramanzia, un po’ per segreta, indomita, fede – ci credono, alla possibilità della ‘remuntada’. Tutte le attenzioni si appuntano su una fascia di collegi detti ‘incerti’. Innanzitutto, va detto che – sulla base di un sondaggio fatto da Antonio Noto (Ipr Marketing), cui i dem si affidano spesso, il Nazareno ha messo già nel cassetto uno studio con cui ha diviso l’Italia in quattro parti e non tre, come di solito si fa (sicuri, incerti e perdenti), ma aggiungendovi una quarta fascia, ‘buoni’ che sta tra la prima e la seconda – sicuri e incerti – e che è un grosso rischio: indica, in buona sostanza, i collegi ‘contendibili’, che sono però, per loro natura intrinseca, incerti o ‘insicuri’, non ‘buoni’. Insomma, il Pd non sta gabbando solo gli elettori – con le sue alleanze a 360 gradi, “da Mastella (Di Maio di oggi) a Bertinotti (il bel Fratoianni)” – ma pure i possibili ‘eletti’ perché sta vendendo loro la possibilità di essere eletti in collegi che, oltre a non essere ‘blindati’, sono ad alto rischio.

Inoltre, l’esagerazione del Pd – e di Repubblica che non si capisce mai se gli corre dietro o, meglio, gli fa da mosca cocchiera sul davanti – indica che, come ha detto in pubblico il segretario del Pd siano addirittura circa 90 i collegi in bilico, mentre per il centrodestra – più saggio, più serio e più prudenziale – sono molti meno. Stiamo parlando sempre dei collegi uninominali in bilico, dai quali – stando a quanto asseriscono gli esperti – potrebbe dipendere l’esito delle Politiche del 25 settembre. Potrebbe perché, ad esempio, sempre la simulazione diffusa l’altro ieri dell’Istituto Cattaneo ha messo in evidenza un comodo vantaggio per il centrodestra nel 70 per cento dei collegi che eleggeranno parlamentari col sistema maggioritario. Che, ricordiamolo, sono ben 221: 74 al Senato e 147 alla Camera. Ciò significa che, secondo i sondaggi che circolano e le conseguenti stime di seggi, l’ambizione massima del centrosinistra (nella formazione che vede il Pd alleato con un’ampia coalizione che va da Calenda a Renzi a Fratoianni ed esclude M5s) sarebbe quella di impattare, o ‘contenere le perdite’, impedendo specie al Senato una maggioranza agevole al centrodestra. Poca roba.

Una sorta di replica – nei sogni del Pd, ma a parti rovesciate – della “non vittoria” che nel 2013 la coalizione guidata da Silvio Berlusconi inflisse al centrosinistra di Pierluigi Bersani o la vittoria risicatissima di Romano Prodi nel 2006 grazie alla rimonta, sempre di Berlusconi, negli ultimi giorni. Due imprese che il segretario del Pd Letta dovrà paradossalmente prendere come modello se vorrà cogliere l’obiettivo prefissato. A oggi, è pura utopia, anche solo pensarlo, ma ‘giochiamo’.

Tutti i (teorici) collegi ‘Ohio’ all’italiana…
Vediamo, dunque, nel dettaglio quali sono, secondo i sondaggisti, gli “Ohio” (lo swinging state per eccellenza alle presidenziali Usa, da cui dipende la vittoria dell’uno o dell’altro candidato) d’Italia i collegi “swinging” in cui il risultato sarebbe meno scontato. Tornando alle stime del Cattaneo e partendo dalla Camera, innanzitutto va detto che il taglio dei parlamentari ha determinato un allargamento dei confini dei collegi, che in più di un caso hanno accorpato territori politicamente eterogenei e soprattutto, specie nelle grandi città, molto più vasti e abnormi, ‘mangiandosi’ le ztl, cioè le famose ‘zone centro’ dove ormai, da anni, s’è autoconfinata la borghesia ‘perbene’ e ‘rossa’. In questo rimescolamento, il Cattaneo vede attenuarsi la forza della cosiddetta “cintura rossa” (o ‘zona rossa’: erano 4 regioni negli anni’70, Liguria-Emilia/R.-Toscana-Marche-Umbria, ora si sono ridotte solo a due: Emilia-R. e Toscana), per il centrosinistra e dunque aumentare i collegi “contendibili” anche in territori una volta considerati blindati per i progressisti. Inoltre, l’eventualità che Azione e Italia Viva non corrano alle prossime elezioni in coalizione con il Pd (eventualità sventata solo nella parte principale: Azione correrà con il Pd, ma Italia viva no…), ridurrebbe ancora di più le possibilità del centrosinistra di competere in alcuni collegi e aumenterebbe le chance del centrodestra”, come spiegava, in un’intervista all’Agi di tre giorni fa, sempre lui, Salvatore Vassallo, direttore del Cattaneo, politologo e professore di Scienza politica all’Università di Bologna. “Più voti prende la componente esterna al centrosinistra – aggiunge – più si riducono, per questa coalizione, le possibilità di competere in collegi contendibili”. Se poi Azione e Italia Viva fossero andati da soli alle elezioni, verosimilmente ci potrebbe essere “una quota di elettori potenziali che propenderebbero per un voto più utile nei collegi uninominali” da dare ai candidati che hanno più chance di vincere, decidendo così “di influire sul risultato”. Insomma, il ‘voto utile’. Ma pur se il problema grosso il Pd l’ha scansato (Azione e +Europa correranno insieme al Pd nella coalizione di centrosinistra, solo Iv andrà da sola) resta il problema di considerare e ‘contare’ collegi come ‘sicuri/blindati’ o ‘buoni/incerti’ collegi che, invece, e da anni, non lo sono più. Infatti, anche nel più ‘carino’ degli studi (il Cattaneo, appunto), nella quota riservata all’uninominale, a parte i “fortini” rossi del centrosinistra di Emilia-Romagna e Toscana e, in parte, dalle grandi città (ma solo dentro le ztl…), il centrodestra prevarrebbe nel 70% dei casi. Insomma, elezioni dall’esito già scritto, scontato.

Breve disanima delle passate leggi elettorali
Ma qui si entra in un altro campo, super-minato, quello della legge elettorale che, come sempre, può coartare il senso politico del voto popolare in un senso o nell’altro. Vogliamo far degli esempi? Facciamoli. La legge Acerbo (1925) trasforma il 25% dei voti arrisi alla prima lista (il ‘listone’ unico nazionale di fascisti-popolari-liberali) in maggioranza assoluta in seggi. La ‘legge truffa’ (1948), ingiustamente chiamata così, non scatta per un pelo ma voleva far scattare una soglia alta di poco (dal 50,1% al 55% dei seggi) neppure al primo partito, ma solo alla coalizione (Dc+alleati) in quel caso. Al netto del proporzionale semi-puro della Prima Repubblica (in cui, in pratica, non vinceva nessuno sul piano aritmetico, ma vinceva sempre e solo la Dc e alleati minori sul piano politico perché il Pci ‘non’ poteva andare al governo per la nota ‘conventio ad excludendum’), il Mattarellum (1993) permette a una coalizione che non vince di tanto di fare ‘banco’ e vincere bene in seggi con dei problemi (la quota proporzionale del 25% e le liste civetta) come dimostrano le vittorie di Berlusconi (1994), Prodi (1996), Berlusconi (2001). Il Porcellum, poi dichiarato incostituzionale, trasforma – come la legge Acerbo… – i voti alla prima coalizione in una maggioranza assoluta di seggi e, quindi, favorisce le coalizioni-accozzaglia: lo dimostrano le vittorie ‘mutilate’ di Prodi, formato da Mastella a Bertinotti, nel 2006, Berlusconi-Fini-Bossi nel 2008, la ‘non vittoria’ di Bersani nel 2013, ma schiaccia anche, nel contempo, i ‘poli’ di centro. Infine, il Rosatellum, usato finora solo una volta (2018), offre fintamente risultati pochi chiari e incerti (tripolarismo) solo perché, in quell’occasione. È nato un terzo polo fortissimo (il M5s) ma il sistema, pur ‘poco’ maggioritario (37% contro 63% di parte proporzionale), tende a bipolarizzare e a schiacciare la competition su due poli, come il Mattarellum, i due più distanti.

I trucchi di una legge elettorale ‘bastarda’
In realtà, ha ragione uno dei leader dei ‘piccoli’ del centro-destra, Maurizio Lupi (Noi con l’Italia) a sostenere che “in questa legge elettorale la quota maggioritaria è piccola, parliamo del 37% del totale. Al netto del 2% destinato al voto degli italiani all’estero, il 61% è fatto di collegi plurinominali, per cui quasi i due terzi della partita si giocherà con il proporzionale”. Vero.

Ma la competizione, quella ‘vera’, per il governo, si vince nei 221 collegi maggioritari uninominali (147 Camera e 74 Senato) dove ‘chi vince prende tutto’ (regno dell’inglese ‘the first past the post’). Nei 253 collegi plurinominali proporzionali, però, ti giochi molte delle tue fortune: i capolista, che devono trascinare voti, i secondi e terzi in lista (secondo l’alternanza di genere in numero 60/40 tra uomo e donna) che devono cercare di farcela, gli altri nomi messi lì solo come puri riempitivi. Una campagna elettorale, dunque, ‘doppia’ che, da un lato bipolarizza sui due leader dei due poli (Meloni e Letta), dall’altro spinge ogni partito a fare ‘gara’ a sé e a cercare di fregare voti e seggi non solo al partito dello schieramento opposto, ma anche all’alleato suo ‘vicino’ perché, con una scheda unica e un voto unico, se il candidato del collegio è unitario per tutti gli alleati in coalizione la crocetta da barrare al proporzionale, se la metti, indica la preferenza per un partito o per l’altro.

Infine, detto che la soglia di sbarramento (10%) per le coalizioni è puramente fittizia (è ovvio che, se una lista supera il 3% e le altre collegate no, ma non arriva al 10% i suoi voti vengono a quella assegnati, non vengono certi persi o buttati…), le soglie cui bisogna far molta attenzione sono altre. Mentre i voti sotto l’1% ‘si buttano’ (nel senso che finiscono in un calderone di resti, una sorta di collegio unico nazionale dove pescano tutti gli altri), i voti tra l’1% e il 3% se restano sotto la soglia del 3% fanno la fine di cui sopra, se si presentano da soli. Ma – se vanno coalizzati con forze che il 3% lo superano (esempio: il Pd nel centrosinistra o Lega-FdI-FI nel centrodestra) svolgono la funzione di – graditissimi – ‘portatori d’acqua’ ai partiti più grandi, nel senso che i loro voti contribuiscono alla cifra elettorale dei partiti ‘grandi’ che han superato lo sbarramento del 3%.

E se, per agguantare l’agognato (da tutti i piccoli) 3%, serve un buon milione di voti in tutt’Italia (nella parte proporzionale, cioè il 61% dei collegi, più un 2% circa anche dei 12 seggi dell’Estero (eletti, però, con un sistema proporzionale puro nelle 5 circoscrizioni in cui è diviso ‘il Mondo’: Europa-2 Americhe- Asia/Oceania, Africa-Poli), mentre nella parte maggioritaria una forza del 3% (o anche molto di più) non elegge, ovvio, alcuno, ai partiti ‘grandi’ fan assai gola i voti dei ‘nani’.

Il peso abnorme che hanno assunto i ‘nanetti’
Infatti, il Pd – al netto dei nanetti già incorporati (Psi di Maraio, due seggi per loro, Demos di Giro e Ciani, vicini alla comunità di Sant’Egidio, altri due per loro, Art. 1 di Speranza, 4/5 al massimo) – schiera almeno due liste collegate al ‘listone’ dei ‘Democratici e Progressisti’, nuovo logo dei dem.

Si tratta della lista CD (Tabacci)-Ipf (Di Maio)-sindaci (Sala, che però farà solo da ‘padrino, Pizzarotti, ex di Parma e altri sindaci ex dem) e della lista ‘cocomero’ dei rosso-verdi (Verdi-SI) di Fratoianni e Bonelli, cui ora si è aggiunta Az-+Europa che, con l’accordo siglato ieri, avrà diritto ad almeno il 30% delle candidature nei collegi (l’accordo, in percentuale, è di 70 a 30 e vuol dire che, nel suo 70, il Pd si dovrà far carico anche degli alleati minori per un 5% del 70%…), ciò vuol dire circa 15 candidati in collegi sicuri negli uninominali delle regioni rosse. Collegi ‘sicuri’ che verranno dati, in numeri molto ridotti, anche a Verdi-SI (5/6) e a Ipf-CD (3/4 massimo).

Tutte liste esentate, comunque, per varie ‘gabole’ (l’emendamento Magi-Ceccanti al dl Elezioni: “emuli di Peppino Calderisi, sono i novelli ilGatto&Volpe del tecnicismo all’italiana” dice un deputato che ne ammira la scienza infusa), dalla raccolta firme, sia i centristi che i rossoverdi – oltre che, si capisce, Calenda, grazie a +Eu. Ma chiedono pure loro, in cambio, collegi sicuri. Almeno 4/5 per ognuna delle due liste ‘nanette’. Per Di Maio era pronto un collegio blindato, o in Toscana o, più probabilmente, in Emilia (Modena o Bologna), mentre ora dovrà accontentarsi di uno o due posti nel Pd e i ‘cocomeri’ vogliono seggi ‘sicuri’ nelle regioni rosse del centro-Italia che dovranno, ormai, donare tantissimo ‘sangue’.

Non che, nel centrodestra, abbiano scritto Giocondo. Anzi, tutt’altro: sono pieni zeppi di alleanze e listarelle che nessuno considera, per snobberia, a differenza di quelle di centrosinistra (forse fa più radical chic parlarne), ma che il loro onesto 1-2%, forse 3%, lo fanno, e pure più sicuri degli altri, quando si presentano alle elezioni. Persino nei sondaggi, non vengono mai ‘quotati’ o quasi mai, ma è con loro che il centrodestra, che parte da un buon 45-46% dei voti (equivale al 58% di seggi) può arrivare, senza sudare, al 48-49% che equivale al 62% dei seggi, un’ampia maggioranza assoluta in entrambe le Camere.

Ecco perché, nella ripartizione dei seggi, un braccio di ferro duro e lunghissimo, che ha fatto semi-addormentare il povero Cav, alla Camera, tra ‘lodo Calderoli’ (media degli ultimi sondaggi più storico elettorale del 2018 e del 2019, più, persino, la consistenza dei gruppi parlamentari) e ‘lodo La Russa’ (media degli ultimi sondaggi degli ultimi sei mesi e stop), hanno vinto tutti e due (Calderoli e La Russa) con un compromesso da ‘onesti sensali’. E ha perso FI, tanto che il Cav ora giura: “con me dall’8% arriveremo al 20%!”, giusto per rincuorare i suoi, finiti sul tappeto. Ma i due partiti ‘grandi’ (FDI e Lega), pur di vincere, hanno accettato di buon grado di cedere seggi ai piccoli. Infatti, la ripartizione dei 221 collegi (tutti compresi: sicuri, incerti e sicuramente persi) è stata fatta, dopo molte liti e qualche urlo, in modo scientifico (parliamo degli uninominali).

In teoria, le ‘quote’ sono: 98 a FDI, 70 alla Lega, 42 a FdI-Udc, 11 ai centristi (Noi con l’Italia e Coraggio Italia). In termini percentuali, sono: 44.3% (FDI), 31,7% (Lega), 19% (FI-Udc) più un misero 0,4% ai ‘nanetti’ (NOIconl’It, CI, etc.) che, però, saranno ‘caricati’, in quota parte, anche dai partiti più grandi, cioè appunto FDI e Lega. In pratica, il ‘lodo La Russa’ l’ha avuta vinta sul ‘lodo Calderoli’, che però si dice “soddisfatto” del risultato. Resta un busillis. E’ in pieno corso un’opera di ‘ravvedimento operoso’ verso L’Italia al Centro (il gruppo di Toti-Marin-Quagliariello) che sembrava in via di avvicinamento a Renzi, non foss’altro perché “sono in ballo 5 collegi della Liguria che possono fare la differenza”, dicono da FDI. Sarà il partito della Meloni a doversene fare carico come pure di molti altri alleati ‘minori’ che, ad oggi, Lega e FI snobbano: l’Udc di Cesa (ne vuole 4/5), Rinascimento it. Di Sgarbi (3/4), Lupi, Brugnaro, tutti gli altri piccoli. Il totale farebbe molto più di 11 almeno fino a 20, ma scommettiamo che, il 26 settembre, il centro-destra avrà assai più posti da dare di tutti gli altri?