Ambiente

Turismo sostenibile, da aspirazione a necessità

09
Agosto 2022
Di Andrea Maccagno

Con l’arrivo della bella stagione riparte il turismo. Capri, Porto Cervo, Portofino, Forte dei Marmi, Taormina: le località estive italiane, già a giugno, hanno superato le performance legate al tax free shopping del pre-pandemia, con un tasso di recovery complessivo del 124% (dati Global Blue). Tanti gli stranieri in ingresso, dunque, in un nuovo mix di nazionalità che vede gli americani e gli arabi succedere a cinesi e russi. Un bene per l’economia italiana, dal momento che il turismo rappresentava – prima della pandemia – il 13% del PIL. Allo stesso tempo, è sempre di maggior rilievo il tema del turismo sostenibile, con l’emblematico caso Venezia che ci racconta della necessità di contingentare i flussi per tutelare i siti dalla presenza massiva dell’uomo.

La pressione turistica, infatti, rischia di mettere a repentaglio la sostenibilità di alcuni beni, in particolare quelli più pregiati come quelli UNESCO. Uno studio presentato lo scorso giugno al convegno della SIMA – Società Italiana Management ha indagato su come le prestazioni delle destinazioni turistiche e gli sforzi di responsabilità possano essere migliorati attraverso l’uso della tecnologia, mettendo proprio in evidenza le criticità dei siti Unesco e la gestione dei flussi turistici. Un tema sempre più d’attualità, che abbiamo voluto approfondire con Aurelio Angelini, Presidente del Comitato nazionale Agenda 2030 UNESCO.

Presidente, quanti “casi Venezia” ci sono in Italia?
«Venezia fa rumore perché è Venezia. Rappresenta un campanello d’allarme importante, perché ci dice che i siti UNESCO – da grande opportunità – possono diventare un problema per il territorio. La valorizzazione eccessiva di un gioiello come per esempio è la città lagunare, infatti, sta portando a una perdita dei principi di sostenibilità, a causa della presenza massiccia dell’uomo: un paradosso da correggere, ampliando nel tempo la possibilità di fruire dei nostri beni più rappresentativi».

Sta parlando del concetto di destagionalizzazione?
«Esatto. Attualmente non vengono implementate politiche appropriate per fare in modo che il turismo venga distribuito nel tempo. Basti pensare che noi finiamo per fare le vacanze tutti nel mese di agosto, senza un’organizzazione del lavoro finalizzata ad una distribuzione delle ferie nel corso dell’anno. Ma l’Italia, essendo un Paese che ha un tasso di cultura, di arte e di natura tra i più importanti d’Europa, possiede degli attrattori che prescindono dalla stagionalità. Puoi godere di un Caravaggio, di un’opera lirica, di una visita all’Etna quando vuoi durante tutto l’anno. Manca però il progetto politico e l’alleanza tra chi esercita la governance e le associazioni datoriali delle imprese turistiche e di ristorazione. Questo è sicuramente un gap da colmare».

Altri problemi che rileva?
«Da non sottovalutare il cambiamento climatico. Riguarda Venezia, ma anche altri siti UNESCO. Da alcuni scenari, per esempio, si stima che il sito di Siracusa rischi di essere sommerso dalle acque e che alcuni monumenti dal 2050 possano finire allagati». 

Qual è il ruolo dello Stato in questo scenario?
«I siti UNESCO sono finanziati dalla legge 77/2006, che ogni anno prevede uno stanziamento tra gli 1 e i 2 miliardi di euro da suddividere tra i 58 siti esistenti. Basta questo per capire quale sia il loro grado di considerazione. Inoltre, i siti UNESCO sono dotati di piani di gestione, molti dei quali non vengono aggiornati, mancando un’autorità predisposta al loro controllo».

Insomma, gli investimenti pubblici sono inconsistenti…
«1-2 milioni all’anno stanziati per i siti UNESCO sono briciole. Se guardiamo cosa fanno in Francia o in Spagna ci rendiamo conto di quanto siamo ancora lontani. Se estendiamo lo sguardo sui beni privati sottoposti a vincolo, poi, ci accorgiamo di quanto anche qui si investa poco o nulla. Purtroppo vige ancora l’idea che con la cultura non si mangi. Ma in un Paese come il nostro, l’economia non può non ruotare intorno a cultura, formazione, arte e scienza». 

Su cosa bisognerebbe puntare per realizzare un turismo più sostenibile?
«Investire di più.  Se oggi si vuole andare verso una conversione ecologica dell’economia dobbiamo rafforzare tutto ciò che riguardi il benessere e il buon vivere, cioè potenziare il cosiddetto “turismo lento”. Fonti rinnovabili, cultura, benessere, servizi sociali, formazione, scienza, arte: questi sono i nuovi elementi costituenti di una società che diventa sostenibile. Affinché il patrimonio UNESCO e, più in generale, quello artistico-culturale del Paese – ce lo ricorda l’articolo 9 della Costituzione – sia tutelato a dovere».