Cultura

Il senso dello studio del latino in un libro

17
Maggio 2022
Di Daniele Capezzone

Visto che inizia l’estate, vale la pena di mettere da parte qualche libro da leggere. Mi permetto di consigliare il recupero di un bel volume uscito nel 2016: “Viva il latino – Storie e bellezza di una lingua inutile” di Nicola Gardini (Garzanti).

Gardini insegna Letteratura italiana e comparata a Oxford, e il suo non è solo un saggio, ma un’orazione appassionata sul senso – oggi e per l’oggi – dello studio del latino.

“A che serve?”, si chiede l’autore. E la risposta che dà lascia senza fiato: studiandolo, “la mia vita si è allungata di secoli e ha abbracciato più continenti”. Così, Gardini ci invita a ripercorrere le orme di Machiavelli, e a trovare anche noi – come lui cinquecento anni fa – una grande consolazione nella lettura dei classici. Il passaggio della lettera machiavelliana all’amico Vettori è noto: “rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente….”. Proprio così: non si tratta solo di una lettura, ma di un dialogo, di uno scambio, di un essere accolti in una dimensione più intima e più profonda.

Gardini mette subito le cose in chiaro. Altro che lingua morta: il latino è vivissimo. E non solo perché ci racconta una grande civiltà e un immenso impero, ma soprattutto perché ci fa misurare con l’essenza immortale dell’umanità: il potere, la natura, l’amore, l’amicizia, la corruzione, il dovere, la forza interiore.

L’autore del saggio non omette un dettaglio autobiografico toccante, nel quale tanti di noi – ognuno a suo modo – potranno riconoscersi: il primissimo incontro, la primissima scoperta di Catullo, nel caso di Gardini attraverso il celebre carme sulla morte del passero. Incontro casuale, per l’adolescente Gardini: in una sezione dedicata alla metrica di un notissimo manuale di grammatica. Inizia così un’avventura intellettuale e umana, di cui questo libro è una vibrante testimonianza.

Gardini ci accompagna in un viaggio indimenticabile tra gli autori latini, di prosa e di poesia, e il suo è soprattutto un invito alla riscoperta, alla rilettura, o a un rinnovato studio.

Cito in ordine sparso e del tutto arbitrario. Catullo e la sua dolcezza. Cicerone e la sua solennità: la lingua che, come un’orchestra, articola concetti e suoni, persuasione e ragionamento. Lucrezio e la lingua trasformata in uno strumento di celebrazione della natura, portando il latino a livelli “fotografici” di descrizione della realtà. Cesare e l’essenzialità: la lingua come paradigma quasi aritmetico, geometrico, di pragmatismo e razionalità. Virgilio e il raggiungimento del massimo standard classico: in qualche misura, se così si può dire, il compimento in poesia di ciò che Cicerone è per la prosa. E poi Seneca: una prosa limpida, specchio di chiarezza filosofica e morale. Diversamente da Cicerone, Seneca non declama, ma medita, connette casi singoli a riflessioni universali.

Le pagine che Gardini dedica proprio a Seneca sono da conservare e rileggere. La Consolatio ad Marciam (Marcia, come si sa, ha perduto un figlio, e Seneca le ricorda che la caducità è inevitabilmente legata alla vicenda umana) parla anche oggi a ognuno di noi, indica la distanza tra la dimensione alla quale dovremmo tendere e – annota Gardini – le piccolezze dell’esistenza umana, “tutta violenza e sotterfugi e disaccordi, mentre ci illudiamo di durare”.

E’ un libro davvero bellissimo. Leggetelo e regalatelo. Se posso, aggiungo due notazioni personali. La prima. E’ bene non dimenticare cosa sia stata Roma al massimo del suo splendore: un impero esteso dal Vallo di Adriano al Medio Oriente, dal Nord Africa al Nord Europa. La capacità di proporre a genti diverse un senso, una direzione, una cultura, un’identità. E’ perfino avvilente (lo ha fatto alcuni anni fa, in un bel saggio, l’attuale premier britannico Boris Johnson) misurare il divario tra ciò che riuscì a Roma e le incerte e fragili sorti dell’attuale Ue. 

La seconda osservazione. Lo studio del latino (e del greco, così come – su un altro piano – della matematica) è importante soprattutto perché è difficile. La versione di latino è una cosa seria, è una prova dura: impone organizzazione mentale, uno sforzo di sistemazione di concetti e parole, un’attitudine alla risposta rapida a domande complesse, alla ricerca di soluzioni non scontate, alla scelta tra ipotesi diverse, alla valutazione di alternative. E’ l’essenza stessa del ragionamento. Chi vuole eliminare o limitare tutto ciò a scuola, ci trascina non solo verso una formazione più povera, ma – quel che è più grave – verso una facilità spoglia, che ci lascia mentalmente disarmati, non allenati, prevedibili, banali, più indifesi. Sarà bene tenerlo presente.

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