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Gaza, Hamas e la tregua: tra speranze e paradossi diplomatici
Di Beatrice Telesio di Toritto
Nel vasto e tormentato scenario del Medio Oriente, ogni tanto arriva il raggio di luce di una possibile tregua. Ma, come spesso accade, la realtà delle trattative infrange immediatamente qualsiasi illusione. Gaza, oggi più che mai, si presenta come il simbolo di una diplomazia che fatica a tenere insieme le promesse e la realtà. Da un lato, ci sono gli appelli alla pace e la speranza che la liberazione degli ostaggi possa gettare le basi per un cessate il fuoco. Dall’altro, ci sono le minacce reciproche e le operazioni militari che continuano a distruggere quella che resta di una regione già martoriata.
In questo scenario, le ultime novità sul fronte di Gaza raccontano una storia fatta di compromessi e sfide. Hamas, il gruppo che governa la Striscia, ha accettato di avviare una tregua che prevede il rilascio degli ostaggi israeliani in cinque tornate separate nei prossimi sessanta giorni. Ma la clausola più interessante di questa tregua non è la liberazione degli ostaggi, bensì l’assenza di qualsiasi cerimonia. Un segno, forse, che la parola “pace” non è altro che una formalità, una copertura per mantenere intatti gli equilibri di potere.
Israele, dal canto suo, non sembra essere intenzionato a cedere nemmeno di fronte alla promessa di una tregua. Il primo ministro Netanyahu ha già fatto sapere che non cambierà la sua posizione in merito al conflitto, ribadendo che “Hamas deve essere distrutto”. Una dichiarazione che suona come un paradosso, poiché il governo israeliano sembra, da una parte, impegnato in negoziati, ma dall’altra, continua a perseguire la sua strategia militare senza compromessi. In fondo, la “pace” per Israele non è altro che un passo necessario per continuare la guerra a più ampio raggio, rafforzando la propria posizione nell’area.
La situazione non è meno complessa sul piano internazionale. La comunità globale, sempre più divisa, si trova ad assistere impotente a una dinamica di violenza che non sembra avere soluzione. Gli Stati Uniti, pur continuando a sostenere Israele, sembrano anche desiderosi di mediare per fermare l’escalation. La telefonata tra Trump e Putin, avvenuta alla fine della settimana, ha portato con sé una dichiarazione di intenti: mentre da una parte gli Stati Uniti sembrano disposti a sospendere le forniture di armi a Israele per non far crescere le tensioni, Putin, da parte sua, ha fatto emergere la necessità di una soluzione politica per il Medio Oriente, con un focus sul coinvolgimento di Teheran e Mosca.
Un altro aspetto che emerge con forza in questa nuova fase di trattative è il ruolo centrale che la guerra in Ucraina continua a giocare sullo sfondo. Nonostante il conflitto in Medio Oriente sembri lontano dalla crisi europea, le alleanze internazionali che si stanno formando in risposta alla guerra tra Russia e Ucraina si riflettono anche sugli sviluppi a Gaza. La questione ucraina, infatti, diventa una sorta di trampolino di lancio per le mosse diplomatiche in Medio Oriente. Gli Stati Uniti sono impegnati su due fronti: sostenere l’Ucraina contro la Russia e, al contempo, cercare di mediare un accordo tra Israele e Hamas. Ma se la guerra in Ucraina è ancora ben lontana dalla sua conclusione, le conseguenze di una sua estensione potrebbero rendere ancora più difficile trovare una vera soluzione ai conflitti in Medio Oriente.
Nel frattempo, mentre i negoziati tra Hamas e Israele sembrano prendere forma, la realtà sul terreno continua a essere quella della guerra. Nuove vittime si aggiungono ogni giorno alla lista, e la sofferenza dei civili palestinesi non sembra mai arrivare a una conclusione. Nonostante le ripetute dichiarazioni di volontà di porre fine al conflitto, l’intensificarsi degli attacchi suggerisce che la guerra è ben lontana dall’essere fermata.
La vera domanda che ci poniamo è se esista davvero una via d’uscita. Gli stessi protagonisti della crisi sembrano sfuggire a qualsiasi tentativo di risolvere la questione in modo definitivo. Hamas, pur avendo accettato di avviare una tregua, non ha mai nascosto il suo obiettivo di ottenere la fine del dominio israeliano su Gaza, mentre Netanyahu non ha mai fatto mistero della sua intenzione di annientare il gruppo militante. E così, mentre il mondo intero osserva in attesa di sviluppi, Gaza resta prigioniera di un conflitto che sembra eterno.
