Innovazione

Draghi e il veto su Huawei. Il 5G di Tim a Nokia ed Ericsson

04
Ottobre 2022
Di Giampiero Cinelli

Di Golden Power si era parlato molto quest’estate. In questi giorni veniamo a sapere che il governo Draghi, come colpo di coda, lo ha applicato nell’aggiudicazione dei contratti per la rete 5G, sbarrando la strada a Huawei nell’ambito degli accordi con Tim. L’operazione rientra nella valutazione dei piani annuali, una metodologia nuova introdotta dal “Decreto Ucraina”, utile a valutare lo sviluppo costante della rete prendendo visione di molteplici contratti in un arco temporale. I piani 2022-2023 di Tim e Vodafone sono stati approvati con specifici indirizzi. L’istruttoria ha visto il lavoro di Palazzo Chigi, dopo la fase preparatoria del Ministero dello Sviluppo Economico e la collaborazione dell’Agenzia per la cybersicurezza. Dunque, per la parte Core della rete, cioè l’infrastruttura che connette le parti di accesso, c’è l’utilizzo al 100% di apparati della società svedese Ericsson, mentre per l’implementazione di reti private dedicate è scesa in campo l’italiana Athonet.

Per quanto riguarda invece la sezione di accesso della rete (Ran radio access network), allo stato attuale il parco fornitori vede Ericsson al 53%, la finlandese Nokia al 27% e Huawei al 20%. Ma con la dismissione della quota di Huawei, Ericsson salirà al 70% e Nokia al 30%. La sostituzione delle quote dovrebbe concretizzarsi entro il 2023, come conseguenza del parere positivo ottenuto da Tim rispetto alla diversificazione dei fornitori, in cui si prediligono quelli da Europa e Usa. Il via libera è anche stato subordinato ad un’analisi di rischio da parte di Tim nella predisposizione di contratti con clienti che intendono realizzare reti private, che dovranno assicurare la sicurezza informatica.

Sulla rete Vodafone, Ericcson e Jupiter detengono il 40% della struttura che connette le parti di accesso, la Core, mentre Nokia e Huawei hanno il 10% ciascuna. In questo caso, però, lo sviluppo dell’infrastruttura andrà oltre il piano annuale e prevede di arrivare al 41% di Jupiter, 45% a Nokia e il restante 15% da distribuire. Il provvedimento approvato dal Cdm stabilisce la condizione della partecipazione: «A patto che l’operatore realizzi un drastico riequilibrio del peso di fornitori extra-Ue a vantaggio di quelli europei nella componente radio della rete». In particolare, c’è l’obbligo di sostituire gradualmente gli apparati cinesi già installati con quelli di società europee. In relazione invece alla parte Ran, ovvero la sezione di accesso della rete, il piano dispone ancora la presenza degli apparati di Huawei e Nokia, più o meno nella metà ciascuno e nei contratti visionati non si prospettano cambiamenti imminenti.

Tutta l’azione è volta comunque ad assicurare la sicurezza delle telecomunicazioni. Un ambito strategico che già gli Stati Uniti hanno iniziato a rendere meno accessibile al Dragone.

I malumori per il vuoto di governo, insomma, vanno ridimensionati. Vero è che l’esecutivo dimissionario non ha varato interventi legislativi, e che neppure quelli d’urgenza sono stati massicci perché il mandato popolare poteva essere messo in discussione, tuttavia la linea tracciata dagli attuali tecnici sembra abbastanza condivisa dalla premier in pectore. Anche un po’ per cause di forza maggiore, dato che le prossime riunioni importanti a livello europeo saranno ancora presiedute da Draghi. Come il Consiglio Europeo del 7 ottobre e quello del 20 presumibilmente, quando in Italia si prevede che il nuovo esecutivo potrebbe appena aver preso forma dopo le consultazioni. A quel punto Mattarella dovrebbe dare il suo via libera approvando la lista dei nomi, in questo modo si andrebbe verso la richiesta della fiducia alle Camere. La strategia da seguire sull’energia sarà quella lasciata da Roberto Cingolani, che va in Europa il 12 ottobre.

Se il punto è creare un nuovo indice borsistico più stabile rispetto a quello del Ttf, le dichiarazioni di Meloni non sono state dissimili. E sul Pnrr, quella che viene chiamata «transizione ordinata» potrebbe essere invece una vera e propria eredità. Rivendicata da sinistra da Calenda e Renzi, ma anzi interpretata da un partito che deve fermare la speculazione, assicurare la completa erogazione dei fondi e il riuscire a spenderli. Cosa che, per la verità, non è riuscito a fare completamente neppure il premier uscente, visti i tempi dell’aggiudicazione delle gare. In politica nulla viene cancellato al 100%, ne è conscia la leader di Fratelli d’Italia, la quale non può prescindere dal piano già approvato in Europa.