Politica

The Watcher Talk: la politica mediorientale USA e la presidenza Biden

05
Marzo 2021
Di Redazione

Il The Watcher Talk del 4 marzo moderato da Daniele Capezzone ha avuto come tema di dibattito l'analisi del cambio di linea, tra continuità e discontinuità, della politica estera USA dell'amministrazione Biden da poco insediata. Si sono confrontati analisti e parlamentari, moderati da Daniele Capezzone.

Ospiti: Germano Dottori (Docente Studi Strategici LUISS e Consigliere di Limes), Mitchell Belfer (Euro Gulf Centre), Marta Grande (M5S, Commissione Esteri) Gennaro Migliore (Capogruppo Italia Viva e membro della Commissione Esteri della Camera), Carlo FIdanza (Responsabile Esteri Fratelli d'Italia), Ernesto Di Giovanni (Ivlp Fellow US Department of State).

Qui di seguito le dichiarazioni più rilevanti degli ospiti intervenuti:

Germano Dottori (Limes): Per Trump la ricerca della stabilità era il punto numero 1. Biden arriva al potere e trasmette l’idea che gli USA debbano tornare ad essere il Paese promotore del rispetto dei diritti umani e della democratizzazione globale. Quello che sta accadendo nei rapporti tra Washington e Riad segnala tempi difficili e per l'Italia, che è nell’Europa meridionale, questa non è una buona notizia. La nuova amministrazione non si fa scrupoli di indebolire gli interlocutori che Trump coltivava da tempo, come ad esempio Putin. Nono riscontro continuità nella politica estera tra le due amministrazioni Trump e Biden. Quello con l’Arabia Saudita è stato un rapporto quasi di guerra fredda a partire dall’11 settembre fino a Trump. Mohammed bin Salman è nell’occhio del ciclone perché è stato un grande partner di Kushner e uno dei grandi architetti degli “Accordi di Abramo”, che non possono essere criticati apertamente dall’amministrazione Biden, ma possono essere svuotati dall’interno. Riuscirà ad esempio Biden a riportare l’Iran negli accordi di Vienna? Non so, perché l’America non è da sola sulla scacchiera. C’è una corsa contro il tempo tra Biden e i suoi interlocutori avversari regionali. Anche Trump voleva un accordo con l’Iran, ma non c’erano punti di incontro reali con Tehran. Noi Occidentali tendiamo a diffidare dei Russi ma lo stesso fanno loro e le politiche USA in questo senso non aiutano. Molti credono che far fuori dai giochi Putin possa cambiare qualcosa, ma riuscire a sollevare Putin porterebbe al governo l’alleanza organica Cina – Russia. I segnali di grande disponibilità che ha dato Biden verso l’Iran hanno ricevuto una risposta internazionale fredda. Dove voglia arrivare Biden è abbastanza chiaro. Cosa fare con l’Islam politico? Il vero urto regionale è tra avversari e sostenitori dell’islam politico e il Qatar è un paese importante per la Fratellanza islamica".

Mitchell Belfer (Euro Gulf Centre): Faccio riferimento ad una canzone dei Guns N’ Roses degli anni '80, in cui si diceva che le strade non cambiano, ma forse i nomi sì. E qui penso che possiamo parlare un po' della metodologia: penso che non ci sarà una vera e propria interruzione degli “Accordi di Abramo”, perché uno degli interessi principali degli USA è quello di creare sicurezza nell'area ed è di primaria importanza avere un'infrastruttura di sicurezza di cui anche Israele possa far parte. Penso che la strategia americana sia da tempo, da prima dell'amministrazione Trump, quella di cercare di trovare modi particolari per integrare Israele nel più ampio Medio Oriente- Questo farà parte di un approccio di sicurezza intelligente per gli Stati Uniti, in modo da non dover impegnare tante risorse in futuro. Trump voleva che tutto fosse fatto molto rapidamente con uno schiocco di dita, ma penso che questo sia endemico in tutta Europa e negli Stati Uniti e nell'Occidente in generale. Quello che vedo con Biden è un passo indietro. È molto riflessivo. Sono stato molto sorpreso che non siamo tornati immediatamente al 2015. L'idea che la diplomazia sia aperta con l'Iran, naturalmente, è molto importante perché l'Iran è originariamente un attore che non sta andando da nessuna parte ed è dirompente, quindi Biden ha intenzione di raggiungere e cercare di trovare un modo per ridurre il disturbo dell'Iran nella regione. Tuttavia, l'amministrazione Biden non ha mostrato ad oggi grande interesse per il JCPOA e sta cercando di coinvolgere gli altri paesi del Golfo, gli Israeliani ed altri per contenere l'Iran. Mi riferisco ad esempio al programma balistico. Ci sono poi le questioni dello Yemen e del contagio dei conflitti, quindi valuterei i primi due mesi dell'amministrazione Biden, come un po' sorprendenti per la sua risposta misurata su affari regionali e globali. Non è un salto indietro nel tempo e non si sta neanche affrettando nel rispettare la sua agenda. È molto misurato nell'approccio, e penso che la storia lo giudicherà positivamente per questa scelta. Devo dire che è anche molto simile quando si tratta di relazioni con Riad, so che ora è di nuovo in aumento la pressione a causa del caso Khashoggi, ma alla fine della fiera gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita, proprio come gli Stati Uniti e tutti i paesi del Gcc, hanno un rapporto molto speciale che ha i suoi naturali alti e bassi. Biden sta per portare avanti questa tradizione cioé raggiungere nel tempo un dialogo costruttivo con gli Stati del Golfo perché sono un bastione di stabilità nell'area MENA. Le azioni estere dell'Iran nuociono all'Iran stesso, ora sono più poveri che mai, si sente ogni giorno come ci sia la coda per comprare pane e carne. Gli Iraniani stanno spendendo i loro soldi in avventure straniere che non erano assolutamente necessarie. In realtà c'è un'inutile paura sia negli Stati Uniti che in molte parti d'Europa quando si tratta di  impegnarsi con l'Iran, c'è paura dell'Iran e in gran parte questo è dovuto all'esperienza in Iraq dal 2003. Sappiamo che un cambio di regime in Iran è impossibile, porterebbe a decenni di caos in tutta la regione, ma devo dire che l'Iran non ha molte opzioni e per questo dobbiamo usare entrambi bastone e carota in modo più efficace, sia negli Stati Uniti che in Europa. Nelle relazioni transatlantiche la gente a volte dice di aver paura che la Russia sia più coinvolta. Beh, la risposta è no, la Russia e l'Iran può sembrare che collaborino in alcuni teatri come la Siria, ma in realtà i concorrenti regionali, se si guarda intorno alla regione del Mar Caspio, non sono affatto solo cinesi. Voglio dire che gli Iraniani non stanno mandando i loro figli in Cina a studiare e formarsi, li stanno mandando negli Stati Uniti e in Europa. Abbiamo una varietà di strumenti al di là della geopolitica e questo è il motivo per cui gli Iraniani sono così ansiosi di riavere gli americani nel JCPOA. Per gli Iraniani i soli europei sono insufficienti: non gli importa della Germania, della Gran Bretagna o della Francia, gli importa solo degli Stati Uniti. Ecco perché ci sono così tanti livelli diversi che sono in grado di esercitare e quindi mettere il giusto tipo di pressione sull'Iran: dobbiamo concentrarci sulla stabilità e la stabilità significa tagliare i finanziamenti iraniani, per esempio allo Yemen, che sono solo dirompenti e distruttivi. Quindi, se si inizia a tagliare quei tentacoli, allora credo fortemente che gli Iraniani torneranno al tavolo delle trattative con la testa tra le mani e otterremo un accordo migliore; ma se non si mostra un po' di forza continueranno a respingere tutte le iniziative delle "sinistre" da Europa e Stati Uniti, sia diplomatiche che finanziarie, così come militari. Dobbiamo solo ricordarci bene di ciò che è successo all'Iraq per tornare a utilizzare strumenti più efficaci.

Marta Grande (Commissione Affari Esteri M5S): Le valutazioni dell’amministrazione Biden, ad oggi, sono basate sulle primissime azioni di questa politica estera che sta segnando un cambiamento, bisogna però vedere come evolverà. Non so dire in che direzione stiamo andando, sarà difficile spostarsi dalla linea tracciata finora; spero di vedere una risoluzione pacifica. Credo che solo nei prossimi anni potremmo capire che strada prenderà la politica mediorientale. Adesso c’è una presenza maggiore degli Stati Uniti nella scena internazionale. Sarà interessante vedere come queste scelte si ripercuoteranno sulla politica interna soprattutto sul tema dell’energia verde, perché, con l’inasprimento dei rapporti con l’Arabia Saudita, potrebbe esserci uno stop sul nascere a queste politiche. La violazione dei diritti umani va sempre condannata e condanniamo anche la pena di morte sui minori. Nel tempo il nostro partito è stato accostato ad altri Paesi, ma il Movimento è sempre andato nella direzione del dialogo. Non c’è altra strada se non la mediazione. Spero che l’amministrazione USA voglia prendere la stessa strada.

Carlo Fidanza (Responsabile Esteri FdI): Tra Biden e Trump c’è una differenza di approccio metodologico e comunicativo. Preferisco una politica estera più muscolare rispetto ad un multilateralismo solo presunto. Mi auguro che l’elemento di continuità dato alla centralità di Israele dia un equilibrio, anche se i primi passi della nuova amministrazione mi fanno temere il manifestarsi dello scenario peggiore. Il mondo repubblicano rivendica costantemente gli Accordi di Abramo, ma per quanto riguarda il partito democratico bisogna guardare all’attacco in Siria, su cui c’è scetticismo e critica. Un evento che ha una duplice visione, se si guarda in maniera circoscritta all’attacco militare in Siria verso obiettivi iraniani viene meno la prospettiva di una politica estera morbida di Biden, ma se si guarda alla politica estera USA più a 360 gradi persiste una polemica interna al partito tra chi lo ha appoggiato e chi lo ha contestato. Per poter fromulare un giudizio bisogna trovare il baricentro di queste prime azioni. Credo che sia giusto utilizzare tutti i mezzi possibili per tornare a degli accordi, è necessario per l’Occidente sganciare tutti gli attori dal rischio di poter cadere nell’influenza cinese. Per quanto riguarda l’interesse nazionale italiano, con l’Iran abbiamo una situazione storicamente dialogante con rapporti significativi, il posizionamento italiano sarà un tema per la nostra politica estera. L’Islam politico? Mi auguro che si riproponga il tema della libertà religiosa perchè è un tema fondamentale, anche alla luce della visita di Papa Francesco in Iraq.

Gennaro Migliore (Capogruppo IV): Non si può misurare il cambiamento della politica estera USA così rapidamente, soprattutto quando si tratta di temi che sussistono da decenni. Sulla centralità di Israele ritengo che, non essendo uno degli orfani di Trump, il disimpegno di Biden abbia determinato degli elementi di squilibrio significativi. Corrisposta a questo ritiro c’è stata un’espansione turca, l’instabilità in Libia, e il crescere degli interessi russi nell'area. Non sostengo l’idea che ci possa essere solo un pilastro che possa risolvere i problemi, ritengo che ci siano elementi di continuità ed elementi positivi di cambiamento. Con Riad c’è stata un’apertura di un "file" in cui bisogna risolvere i conflitti. Io guardo sempre dalla mia prospettiva da italiano ed europeo, quindi il giudizio della politica estera degli altri attori per quanto mi riguarda si legge attraverso il filtro dei rapporti con l’UE. Nei priossimi giorni si potranno notare  dei banchi di prova: il primo tra tutti è quello iraniano che vede anche la prospettiva di una stabilità e di una influenza, di un equilibrio che deve essere una lotta contro il tempo sia per il ruolo del Qatar che per la tentata sostituzione, da parte dell’Arabia, dell’Emiro e della classe dirigente. Non è escluso il ricorso alla via militare, si sta parlando del più grande Paese del vicino Oriente, l’Iran, ch è un enorme potenza e questo sarà il primo banco di prova da superare. Il secondo è la Libia e quello che succede nell’area Subsahariana, per l’assenza degli Usa nel corso degli ultimi anni, all’Italia conviene o no avere un rafforzamento dell’asse Atlantista per ragionare insieme alla risoluzione di un problema? Se UE e Usa non costruiscono di nuovo insieme un rapporto interno nel Mediterraneo, penso che le istanze delle altre potenze potrebbero prendere il sopravvento. Credo che ci sia l’esigenza di stabilire un dialogo sostanziale con l’Iran, fondamentale per gli interessi nazionali e bisogna sempre avere un dialogo non ipocrita, quindi senza eliminare elementi critici e di eventuale  condanna. I regimi sanzionatori devono essere rivolti a situazioni circoscritte e devono essere efficaci. Per questo penso che bisogna ragionare sull’Islam politico; la freddezza verso l’Arabia Saudita era legata ai finanziamenti di Al-Qaeda. Esiste una condizione nella quale questo equilibrio deve essere sempre messo a fuoco come una possibile minaccia alla nostra sicurezza. Non dobbiamo dimenticare che ciò che è accaduto in questi anni e di recente non è ancora stato risolto: il ruolo degli attori statuali e quelli diversi dagli Stati, come ad esempio i foreign fighter. Si tratta di una bomba atomica con cui non possiamo trattare visto che non c’è un interlocutore perché sono entità non statuali. Bisogna riscrivere il parametro della politica estera anche per gli attori che sono emersi ed avere una posizione ferma che metta in campo autorevolezza e forza dell’asse Atlantico.

Ernesto Di Giovanni (Ivlp Fellow US Department of State): Sicuramente quanto fatto da Trump non può essere dimenticato. Gli “Accordi di Abramo” hanno aperto un mondo nuovo sia a livello economico che sociale e ci saranno con Biden elementi di continuità. La nuova amministrazione Biden si trova nel mezzo di due forze opposte anche in casa. Biden non andrà verso una rottura con i partner del Medioriente, piuttosto verso una "ricalibration". Biden sa che allentare l’alleanza vuol dire dare via libera alla Russia e alla Cina. Poniamo l’attenzione sull’Italia, questa situazione è figlia di un disinteressamento americano per l’Europa, con Stati Uniti propensi a tutelare i propri interessi e con l'Europa che non ricopre più un ruolo focale. Per la vittoria di Biden farei un passo indietro: come siamo arrivati alla sua nomination? I democratici come ci sono arrivati? In corso c’era un grande scontro interno ed è evidente come, da una parte ci fosse il Covid e dall’altra la necessità del partito di unirsi dietro ad un simbolo per combattere Trump. Quindi il tema centrale della campagna di Biden è stata la pandemia, evitando temi su cui la piattaforma democratica si trova totalmente in disaccordo. La politica estera di Biden cercherà di mettere alcuni capisaldi democratici nello scacchiere, come Putin, ma ha un problema serio ossia gestire un partito che in questo momento è molto chiuso a riguardo. Abbiamo capito che è una situazione di geometrie variabili e instabili. Non abbiamo attenzione rispetto ad altri focolai che possono uscire fuori da un'altra destabilizzazione dell’area. L’amministrazione Biden penso non abbia interesse a dare instabilità. La mia è più una speranza, il nodo è far entrare l’Iran in questo dialogo. Si cerca di trovare una soluzione e bisogna portare l’Iran a un tavolo mostrando la forza e consapevoli della mancanza di tempo, perché la situazione potrebbe diventare irreversibile.

 

Guarda il Talk a questo link: https://youtu.be/hvejIhTFE0s

 

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Redazione 

 

Photo Credits: Giornale di Sicilia

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