Politica

La corsa per guidare l’Europarlamento è intorcigliata quanto quella per il Colle

28
Novembre 2021
Di Ettore Maria Colombo

La Politica italica gioca solo al Gioco del Colle

La Politica italiana ha – e mantiene – tutti gli occhi e tutte le orecchie ‘appizzate’ sul Quirinale (e su palazzo Chigi, ovviamente), pronti a cogliere ogni refolo e ogni stormir di fronda su ciò che accade nel ‘triangolo delle Bermude’ (Quirinale-palazzo Chigi-palazzo Montecitorio). con Matteo Renzi che ogni giorno ricorda (ancora ieri lo ha ri-detto, dalle colonne del Corriere della Sera, intervistato da Maria Teresa Meli), “vogliono andare al voto” e “faranno di tutti per portarci a votare nel 2022”, sulla base del presupposto – non peregrino – che, dopo il governo Draghie con Draghi al Colle, nessun altro governo starebbe in piedi seriamente.

Intanto, però, a Bruxelles succede di tutto… Ed è proprio lì che i centristi saranno decisivi

Ecco, se questa è la situazione che vede partiti e leader posizionarsi in merito alla partita del Colle, si gioca, invece, nella fredda e piovosa Bruxelles, dentro le algide e paludate istituzioni della Ue, tutt’altra partita, non meno importante ma di cui in pochi, in Italia, parlano per il solito, frusto, motivo che, da noi, il provincialismo regna sovrano, a differenza altrui. Uniche lodevoli eccezioni, il Foglio, con le corrispondenze di David Carretta e l’Huffington Post con quelle di Angela Mauro, due ottimi giornalisti che, non a caso, a Bruxelles ci vivono e da lì lavorano.

Chissà, dunque, che non succeda a Bruxelles, quello che tutti temono possa accadere a Roma. “Chissà che, cioè, nella coincidenza di date e di accidenti, di suggestioni che si alimentano a vicenda, i centristi non si rivelino decisivi, più nella contesa, in verità, che non nella conta”, scrive, appunto, proprio Carretta su Il Foglio.

Perché la minaccia dei numeri sembra funzionale a guadagnarsi, in via preventiva, spazio negoziale, ad alzare il prezzo del proprio sostegno, insomma a fare politica. “Attendiamo di capire le proposte che ci verranno fatte, e poi valuteremo”, sibila, allusivo, Nicola Danti, europarlamentare renziano di Renew, sentinella fedele del leader di Iv tra Strasburgo e Bruxelles.

E tutto sembra quasi un gioco illusionistico. Perché se a metà gennaio si voterà per il Colle e Matteo Renzi ha già iniziato le manovre preparatorie per dimostrare che, in caso di prova di forza, il basculare della galassia centrista potrebbe decidere le sorti della sfida quirinalizia, nei corridoi dei palazzi europei all’attendismo tattico del gruppo liberale di Renew (fusione del PDE, Partito democratico europeo, e dei liberali) guardano tutti con reale inquietudine. Specie il presidente uscente dell’Europarlamento, il democrat David Sassoli, che ha attivato i suoi canali diplomatici proprio con i liberali guidati dal presidente francese, fondatore del movimento En Marche!, Emmanuel Macron. Perché sa che da lì passa la sua possibilità di essere confermato alla guida del Parlamento europeo come sa che il suo passato recente non depone a suo favore.

Le ‘manovre’ di Sassoli per farsi riconfermare si scontrano con le divisioni nei gruppi in Ue

L’ingordigia con cui Sassoli s’è accaparrato la regia della conferenza sul futuro dell’Europa avrebbe indispettito assai il liberale belga Guy Verhofstadt, che ora fa sapere di avergliela giurata e di voler dirottare almeno una quarantina dei cento voti  del bacino liberale contro il candidato italiano. “Forse anche di più”, azzarda Carlo Calenda, che nel gruppo di Renew c’è entrato da due settimane, dopo aver abbandonato il Pd e i socialisti, sbattendo la porta perché il Pd ha chiesto, al gruppo socialista dei S&D (il Pse in ‘formato’ Parlamento Ue) di agevolare l’ingresso dei 5Stelle, oggi nel Misto, nel gruppo, con conseguente loro snaturamento. “La candidata espressa dal Ppe, la maltese Roberta Metsola, riscuote molto favore tra i nostri”, dice Calenda, pur se è l’ultimo arrivato. Poi, certo, “le logiche nazionali vincono spesso su quelle di gruppo”, mette le mani avanti Calenda, “ma la scelta dei Popolari è stata intelligente”.  Così intelligente che dalle parti del Pd hanno subito cercato ragioni per delegittimarla: “E’ una antiabortista convinta”, dicono, “e c’ha pure il marito implicato nei Panama Papers”, racconta Carretta su Il Foglio.

La Metsola, però, potrebbe ‘pescare’ proprio tra i liberali, assai più conservatori di quel che si pensi a Bruxelles, oltre che, ovviamente, sui voti del PPE, ma anche su quelli di un pezzo della Destra (i Conservatori e Riformisti di Meloni e Fitto, mentre Identità e Democrazia di Salvini lancerà un suo candidato, sapendo sarà solo di bandiera), oltre che contare sull’elemento dell’alternanza, tra PPE e PSE, regola aurea finora sempre usata.

Ma proprio la ‘conta’ è un azzardo che Sassoli vorrebbe evitare. La strategia sarebbe quella di tirare in ballo gli equilibri politici generali, e non farne una questione personale. “Perché il punto vero è che senza la riconferma di un socialista alla guida dell’Assemblea, il Pse resterebbe escluso dalle cariche apicali della Ue proprio mentre l’Europa, con la vittoria dell’Spd in Germania, prende un volto progressista”, dice Brando Benifei, capo delegazione del Pd a Bruxelles e neo-fedelissimo di Enrico Letta, che – nonostante sia dichiaratamente un ‘maschietto’ – lo ha voluto riconfermare nel suo incarico mentre, per i capigruppo di Camera e Senato, ha puntato sulla ‘parità di genere’, promuovendo due donne, guarda caso diventate sue fedelissime.

Le ‘stranezze’ della governance dell’Unione, il gioco a incastro a Bruxelles, il ruolo di Macron

Se ne discuterà, dell’incarico a nuovo presidente del Parlamento Ue – carica che, per statuto, va rinnovata ogni due anni sui quattro del mandato pieno (stranezza e singolarità tutta europea, e non vigente in nessuno dei parlamentari nazionali Ue) al prossimo Consiglio europeo, quello del 16 dicembre, quando i capi di stato e di governo discuteranno degli assetti complessivi della nuova Ue, quella che dovrà affrontare la seconda parte della legislatura.

Una sfida che riguarda da vicino Sassoli, sempre che il dem non voglia puntare tutto sull’altra grande sfida di gennaio: quella per il Quirinale. Trovandosi però a dover fare i conti con un candidato ben più ‘quirinabile’ e ‘quirinalizio’ di lui. Quel Paolo Gentiloni che, dopo il ‘disgelo’ con Matteo Renzi – via pranzo a Bruxelles, che doveva restare segreto ma è finito sui giornali – è il vero candidato ‘in pectore’ del Pd. Sempre che, si capisce, il Pd possa contare e conterà qualcosa, nella sfida per il Colle, il che non è affatto detto. E sempre che, appunto, al Colle non vada Draghi perché, in quel caso, sarebbe ‘tana libera tutti’ per i partiti italiani, ma anche per i gruppi nella Ue. A quel punto, paradossalmente, Sassoli avrebbe qualche chanches in più di vedersi riconfermare. Chanches che, oggi, centristi o meno, non ha.

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