Politica

Pirandello o dei 5Stelle… Il Movimento è debole, diviso, in preda a liti e querelle giudiziarie e politiche

03
Giugno 2021
Di Ettore Maria Colombo

Qui è il Movimento? No, qui è Pirandello…

La sensazione è che, proprio una volta capitava con il Pd, con i 5Stelle non ci si annoia mai. Più che un partito – pardon, Movimento – sembra una novella di Pirandello: ‘personaggi in cerca d’autore’ che recitano più parti, in commedia, e che, non essendo d’accordo su nulla, si prendono a sberle in pubblico o si tirano colpi sotto la cintola in privato. In ogni caso, inconcludenti. Prendiamo solo l’ultima settimana ora trascorsa. Luigi Di Maio ha cercato di imprimere una svolta ‘garantista’ al Movimento, chiedendo scusa per gli attacchi ‘giustizialisti’ contro l’ex sindaco di Lodi, il dem Simone Uggetti, con una lettera al Foglio. Conte prima si è messo in scia, a scoppio ritardato, poi, di fatto, lo ha sconfessato dicendo che il M5s è contro la “giustizia negata”.

Una querelle che va avanti a colpi di ricorsi

Nel frattempo, la pesante querelle – a colpi di avvocati, ricorsi e pareri legali, etc. – tra ‘nuovo’ (ma non ancora formalmente nato) ‘partito’ (ex Movimento), guidato da un leader nominato da sé stesso (Conte) e mai votato prima, che del Movimento non ha neppure la ‘tessera’ (che non esiste, almeno ad oggi: per dirsi iscritti e ‘militanti’ dei 5Stelle bisogna registrarsi sulla piattaforma Rousseau, che ora ha defezionato), e vecchia piattaforma digitale (sempre Rousseau), che detiene data base degli iscritti (nominativi, dati anagrafici, etc.), ma iscritti alla piattaforma (e non a un partito che, appunto, ancora non c’è), ha segnato un punto a favore del nuovo ‘partito’. Con una pronunzia del Garante della Privacy lo scorso I giugno, quest’ultimo ha intimato alla Casaleggio&Associati di consegnare, entro cinque giorni, il predetto database al Movimento. Ma Casaleggio oppone resistenza, vuole fare ricorso in sede civile e non riconosce il reggente del Movimento (Vito Crimi), il quale in effetti non è stato votato da nessuno, sulla piattaforma (l’ultimo voto riguarda un Direttorio, mai nato), ma a cui, implicitamente, il Garante della Privacy riconosce il ‘diritto’ di ottenere i famosi database.

L’eterna questione dei soldi e i peggiori divorzi

La querelle, peraltro, si svolge anche su un altro piano, quello del vil denaro. Casaleggio accampa mancate restituzioni, per implementare e tenere le votazioni on line della piattaforma, per 450 mila euro, il Movimento gliene darebbe solo 250 mila e la trattativa, come nei peggiori divorzi, si è arenata, senza possibilità di fare passi in avanti. Poi c’è il problema dei mancati introiti che dovrebbero dare i parlamentari al nuovo Movimento, come lamenta il tesoriere (e Conte), e che servono come il pane per dotare il M5s 2.0 di sede (nuova), struttura, staff, soldi ai territori.

Non mancano, naturalmente, le fuoriuscite che stanno dissanguando la truppa parlamentare: in tre anni, su 203 parlamentari coinvolti in totale e su un monte di 259 ‘cambi di casacca’, il M5s ne vanta ben 93 (-60 deputati e -33 senatori), il massimo assoluto di un partito nella legislatura.

Ovviamente, i sondaggi vanno malissimo e, dal 33% preso alle Politiche, oggi l’M5s oscilla, al massimo, intorno al 16% dei voti (15,8%-16,5%).

Le alleanze ‘a macchia di leopardo” con il Pd

Inoltre, i 5Stelle, sul piano delle alleanze, corrono da soli a Roma, con la sindaca uscente, Raggi, correranno da soli a Torino, non si sa con chi, come pure a Milano (il sindaco Sala non li vuole), decideranno, in base a chi vincerà le primarie dem, se correre insieme al Pd a Bologna, correranno insieme al Pd a Napoli (con Manfredi) e ancora sono in attesa di sapere se, in Calabria, causa i guai interni dem, correranno col Pd (Conte chiede un “patto per la Calabria”).

Conte correrà per ottenere un seggio a Roma?

Infine, mentre la ex ministra Elisabetta Trenta annuncia che lascia il Movimento (“Non è più la casa della trasparenza, volevamo cambiare il Paese, è cambiato il M5s”, difficile darle torto), esce la notizia che proprio Giuseppe Conte – che su vari temi sta dando filo da torcere al governo (prescrizione, su cui fa le barricate con Bonafede contro la riforma della giustizia della Cartabia, ambiente, dove non ama il ministro Cingolani) – potrebbe ottenere, finalmente, un seggio in Parlamento, per la precisione alla Camera, accreditandosi finalmente come ‘interlocutore’ del governo e degli altri partiti. Succede, infatti, che il Comitato politico e di sicurezza della Ue ha nominato Emanuela Del Re, deputata eletta nel 2018 in un collegio uninominale di Roma (Primavalle), rappresentante speciale dell’Ue per il Sahel, su ‘suggerimento’ del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, di cui è stata viceministra nel Conte II (ma lo è stata anche nel Conte I). A ottobre si terranno le elezioni supplettive e, se il patto con il Pd, regge (come reggerà), per Conte si aprirebbero finalmente le porte del Parlamento, smentendo anche così gli attriti, che pure ci sono, tra Conte e Di Maio su chi è il ‘capo’ del M5s.

Un bilancio, per i 5Stelle, non entusiasmante

La verità è che ha ragione la Trenta. I 5Stelle sono cambiati, e in modo più che radicale. Sono entrati in Parlamento nel 2013 impugnando un apriscatole per aprirlo “come una scatoletta di tonno” e scardinare il sistema politico dall’interno. E invece, oltre otto anni dopo, si ritrovano ripiegati su se stessi, imballati e vittime di spire burocratiche che loro stessi hanno creato.

C’è uno statuto che, nonostante i continui ritocchi per plasmarlo alle esigenze di partito, ingabbia chiunque voglia partecipare attivamente al Movimento. Non basta essere attivisti, simpatizzanti o persino ex premier “di bandiera”. Chi non è iscritto (e da almeno sei mesi, per di più), non può aspirare ad alcun ruolo. Non può nemmeno candidarsi alle Comunali di un piccolo centro, figuriamoci entrare nel comitato direttivo o (auto)proclamarsi leader. Lo statuto è stato uno dei fondamenti del Movimento stesso, l’atto costitutivo firmato da Beppe Grillo che più volte in passato lo ha sventolato quando è stato chiamato a decidere delle diatribe interne, sia prima da capo politico sia ora da Garante.

Poi c’è una legge, quella sulla tutela della privacy, che stabilisce le regole per la raccolta dei dati personali. Dopo varie ramanzine da parte del Garante per la privacy, con la nascita dell’Associazione Rousseau il Movimento si era messo in regola: titolare del trattamento dei dati è l’Associazione stessa (che fa capo a Casaleggio) in nome e per conto del M5S. Ora, però, con il divorzio ufficializzato nelle scorse settimane, la situazione si è complicato. Il titolare per legge resta l’associazione Rousseau, anche se quei dati “appartengono” agli iscritti al Movimento.

E qui si scopre l’altro problema: chi è il legale rappresentante del M5s? Non è più Beppe Grillo (ora solo Garante), non è più Luigi Di Maio (che si è dimesso a gennaio), non è Vito Crimi (capo politico ad interim, dopo il passo indietro di Di Maio). A fine 2020, quando la caduta di Conte non era neanche ipotizzabile, la tanto decantata ‘democrazia diretta’ ha sancito il ritorno alle origini con un nuovo Direttorio (a cinque) in grado di ‘spersonificare’ il M5s, ma non c’è stato tempo (e la volontà) di nominarlo.

Il ‘tavolino’ di Conte e il non futuro dei 5Stelle

Il ‘tavolino’ messo davanti a Palazzo Chigi da Conte, non più premier da poche ore, ha costretto Grillo a ridisegnare un ruolo per l’ex premier che nel frattempo era diventato il volto dei 5Stelle di governo. Peccato che l’Avvocato del Popolo non abbia titoli per mettersi alla guida del partito. Né può essere – in punta di diritto – nominato tra i membri del Direttorio. Nel frattempo, una sentenza del tribunale di Cagliari ha nominato un curatore legale del Movimento che comunque non ha a titolo per ottenere gli elenchi richiesti. “Il Garante indica di consegnare genericamente i dati al MoVimento 5 Stelle, ma non indica chi sia la persona che riveste il ruolo di rappresentante legale, quindi il legittimo titolare dei dati al quale Rousseau può consegnarli”, è stata la secca risposta dell’associazione Rousseau, anche se, implicitamente, spetterebbe al reggente, cioè a Crimi, pur mai votato e deciso da nessuno.

Infine, come dicevamo, c’è la questione dei soldi, i famigerati rimborsi da parte degli eletti. Nell’ultimo anno la linea è diventata sempre più morbida e nessuno ha più rischiato seriamente l’espulsione per questo motivo, ma offrendo così a Casaleggio ‘l’arma’ per tenere in ostaggio i dati in suo possesso. Persino ora che è lo stesso Garante della privacy a sostenere che i database spettino al Movimento e non all’Associazione Rousseau, l’imprenditore si appella al “dovere di onorare gli impegni presi”. Morale, non se ne esce, se non al prezzo di una guerra legale, tra tribunali e ricorsi che si annuncia lunga e faticosa per tutti, sia per Rousseau che per il Movimento.

Cosa diventerà il ‘nuovo’ Movimento 5 Stelle è ancora tutto da scoprire e da capire, ma resta che – a prescindere dalla guerra legale con Rousseau – la divaricazione tra l’ala ‘governista’ (Di Maio) e quella ‘movimentista’ (Di Battista, mezzo fuori e mezzo dentro, ma anche lo stesso Conte, che al governo Draghi preferisce creare problemi, invece che aiutare a risolverli) continuerà, probabilmente al prezzo di nuove, sanguinose, scissioni e fuoriuscite che lo indeboliranno e lo divideranno anche di più di quanto non lo sia ora. Perché il Pd insista a vedere in un Movimento così debole, diviso e dal futuro incerto un alleato ‘naturale’ resta, a questo punto, un mistero glorioso che, però, non è possibile affrontare ora.