Politica

Le risorse per la finanziaria e il dibattito sulle spese militari

05
Ottobre 2018
Di Redazione

A una settimana esatta dall’approvazione del Consiglio dei ministri, la Nota di aggiornamento al Def è stata pubblicata e trasmessa alle Camere, cui spetta adesso il non facile compito di esaminarla e approvarla entro la scadenza fissata, attualmente, a mercoledì 10 ottobre. Malgrado le roventi polemiche e le dure critiche ricevute negli ultimi giorni, gli alleati di governo hanno confermato tutte le misure-cardine del documento, destinando 1,5 miliardi all’indennizzo dei truffati delle banche, 2 miliardi alla flat tax, 9 miliardi a reddito e pensioni di cittadinanza e altri 7 miliardi al superamento della legge Fornero. Per finanziarle e al tempo stesso far diminuire il disavanzo, evitando la rottura definitiva con la Commissione Ue, occorrono dunque tra i 15 e i 20 miliardi di nuove coperture che, con ogni probabilità, saranno il frutto di tagli alla spesa o di nuove entrate tributarie. Il M5s, ad esempio, ha già annunciato per bocca del suo leader politico Luigi Di Maio una riduzione delle spese militari, scatenando la prevedibile reazione di chi vede in questo modo minacciata la sicurezza nazionale e financo la capacità del Paese di partecipare con credibilità e autorevolezza ad alleanze con altri Stati in una fase segnata da instabilità diffusa e pericolo di conflitti. Accanto a lunghi periodi di silenzio figli di un disinteresse più o meno generalizzato, il dibattito sulle spese militari italiane si dipana attraverso fasi segnate da un acceso confronto, benché raramente costruttivo.

In occasione dell’ultima campagna elettorale, ad esempio, la questione ha costituito l’oggetto d’improvvide quanto ideologiche prese di posizione, salvo riproporsi con forza ora che l’esecutivo Conte ha la necessità di racimolare quante più risorse possibili per finanziare l’ambiziosa manovra di Bilancio. In realtà nel tira e molla mediatico-elettorale tra Lega e M5s continua a non sentirsi la voce del leader del Carroccio e questo nonostante il gran lavorio diplomatico imbastito dal vicepremier con i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente proprio per garantire maggiore sicurezza al Paese. Di recente sul tema si è esposto il sottosegretario alla Difesa Raffaele Volpi (in quota Lega), ricordando che trattare le spese militari come uno spreco di risorse non ha alcun senso, mentre ogni ipotesi di previsione di tagli ai programmi di investimento e di ammodernamento può generare impatti sull’occupazione e ulteriori oneri sociali a carico dei contribuenti. Attualmente l’Italia spende in Difesa circa venti miliardi di euro l’anno, pur destinando qualcosa come i tre quarti del bilancio militare in spese per il personale e lasciando le briciole a investimenti ed esercizio dei mezzi. Il tutto mentre ambisce a ritagliarsi un ruolo di punta nel Mediterraneo, si propone come interlocutore di riferimento per Washington nella crisi libica e ambisce ad accreditarsi a Londra come partner affidabile per lo sviluppo di un nuovo caccia di sesta generazione (programma strategico di lunghissimo termine) senza riuscire neppure a mantenere gli impegni su dossier ben più contenuti come il CAMM ER, missile antiaereo italo-britannico “cassato” dal leader M5s in fase di reperimento delle risorse per la definizione della legge di Bilancio.

 

Alberto de Sanctis

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