Politica

Le primarie? Di fatto sono diventate inservibili. Le critiche di Parisi e il timore di bassa affluenza anche a Roma, dopo Torino. Il ‘caso Bologna’.

16
Giugno 2021
Di Ettore Maria Colombo

Le primarie? Non piacciono neppure a Parisi

“Il crollo dell’affluenza a Torino? Gli elettori sono disorientati. Non avrei partecipato neanch’io”. A dirlo, all’Adnkronos, non è uno qualsiasi, ma l’inventore stesso delle primarie, un po’ come il Capo dello Stato lo è del Mattarellum tanto che, forse, si dovevano chiamare ‘parisarie’. Trattasi di Arturo Parisi, ministro della Difesa del II governo Prodi e, soprattutto, suo storico braccio destro che, per l’incoronazione di Prodi a leader dell’allora nascente Ulivo, nel 1995, si inventò lo strumento apposito, ricalcandolo su quello del Partito democratico Usa. Le primarie. “Il crollo dell’affluenza a Torino – e i timori per un rischio analogo a Bologna e Roma – non è imputabile al tramonto di uno strumento di partecipazione come quello dei gazebo”, dice Parisi. Le ragioni vanno cercate altrove. “Non sono le primarie di Torino – dice il professore ulivista all’Adnkronos – ad appesantire il mio sconcerto di fronte alla fine che la dirigenza Pd sta facendo fare allo strumento che continua a ricondurre con esibito orgoglio al Dna del partito. Il problema è che, “di fronte all’alternativa tra il dare seguito alla spinta della dirigenza romana che invitava a un voto a favore di un accordo organico con i 5S, e la spinta della dirigenza locale che sosteneva il candidato più ostile a questo incontro, mi sarei sentito anch’io disorientato da preferire di non votare del tutto”. Certo, poi Parisi prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: “Concordo tuttavia con Fassino che, di fronte all’indiscutibile crollo della partecipazione, ricorda come, per quanto pochi siano stati i votanti, le dodicimila persone che si sono recate ai seggi sono di gran lunga superiori a quelle che qualsiasi partito riesce a coinvolgere in una decisione in persona, per non parlare, aggiungo io, di quelle finora coinvolte sulla piattaforma Rousseau dai cultori per eccellenza della democrazia diretta”, sottolinea Parisi.

I dati (disastrosi) dell’affluenza di Torino

Ma si diceva dell’affluenza, ai minimi storici. Il popolo delle primarie si è ridotto di un quinto rispetto a quelle che, dieci anni fa, incoronarono la vittoria di Piero Fassino, poi sconfitto nel voto dalla sindaca oggi uscente, Chiara Appendino, che videro ben 53 mila elettori parteciparvi mentre domenica scorsa sono stati solo 11.631 (persino la somma delle firme raccolte dai quattro candidati in gara è stata maggiore: ben 16 mila). Inoltre, quello che è diventato il candidato sindaco del centrosinistra, Stefano Lorusso, ha preso appena 4.229 voti (il 37%), cioè meno della somma dei suoi sfidanti, Francesco Tresso (secondo con 3.932 preferenze, pari al 35%), candidato della società civile appoggiato da solo da Sinistra Ecologista, Enzo Lavolta, il candidato ‘preferito’ dai 5Stelle (terzo con 2.863 voti pari al 25%), e Igor Boni (257 preferenze pari al 3%), radicale di +Europa. Morale, Lorusso ha vinto per 300 voti in una competizione tutta giocata nei quartieri della Torino bene e disertata in periferia, ha contro gli altri tre candidati, l’ostilità dei 5S e, non a caso, ora propone di aprire al centro (Iv).

Capogruppo uscente del Pd in consiglio comunale, docente di Geologia al Politecnico, 46 anni, Lorusso è considerato uno degli avversari più agguerriti della sindaca M5S Chiara Appendino (che, come si sa, non si ricandida). Per questo, l’ipotesi di un accordo con i 5 Stelle, già piuttosto improbabile prima, con la scelta di Lo Russo viene ritenuto impossibile. Ragione per cui nei prossimi giorni il Movimento 5 Stelle sarà chiamato (ma non è dato sapere con quali modalità) a scegliere un proprio candidato. Il centrodestra, invece, ha deciso di puntare su Paolo Damilano, 56 anni, imprenditore nel ramo food&beverage, che è in campagna elettorale da mesi e che gode già di ottime chanche di vittoria.

Ora si sparge il panico per l’affluenza a Roma

Immediatamente, il panico si è diffuso a Roma, dentro il Pd. Lo spettro che aleggia sulle primarie del centrosinistra per il Campidoglio, in programma domenica 20 giugno, è sempre lo stesso, quello della bassa affluenza ai gazebo. Una bassa affluenza sarebbe, ovviamente, spiegabile con un finale già scritto: le primarie, a Roma, sono un pro-forma che servirà solo a incoronare il candidato scelto da Letta, Gualtieri. Ma ora verrebbe interpretata come un basso gradimento nei confronti di tutti i ben sette candidati in corsa secondo la formula di un centrosinistra vecchia maniera, cioè senza il dialogo con il M5s già dal primo turno. Del resto negli ultimi giorni l’ex premier Giuseppe Conte ha ribadito più volte che al ballottaggio arriverà la sindaca uscente, Virginia Raggi, sostenuta dal M5s mentre il segretario del Pd Enrico Letta ha replicato che sara’ l’ex ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, a giocarsela al secondo turno.

Fino alla scorsa settimana alcuni dirigenti Pd cittadini informalmente fissavano l’obiettivo a 50mila partecipanti. Ieri il segretario dem romano Andrea Casu si è detto “fiducioso” di andare “sopra il dato dei 40 mila partecipanti delle ultime primarie per il sindaco nel 2016”. Quella volta, pochi mesi dopo la ‘defenestrazione’ di Ignazio Marino da Palazzo Senatorio da parte del Pd, alla contesa vinta da Roberto Giachetti contro Roberto Morassut parteciparono 43mila persone mentre in quelle che nel 2013 incoronarono Ignazio Marino i votanti furono ben 100 mila.

Stavolta, però, i postumi da Covid, la domenica di caldo estivo, e -a volte ci si mette pure la scalogna – il match della nazionale agli Europei contro il Galles, potrebbero agire da effetti deterrenti sulla partecipazione del popolo del Pd. Gualtieri replica agli scettici: “Vedo grande esercizio di critica delle primarie da parte dei partiti che non le fanno. Dopo il Covid, non si poteva immaginare di avere i risultati come quelli precedenti. Siamo fiduciosi e avremo un ottimo risultato di partecipazione”. Se lo dice lui…

Giovanni Caudo, presidente del Municipio III, uno degli sfidanti, ex assessore della giunta Marino (con l’ex sindaco che lo sponsorizza) osserva invece preoccupato: “Il risultato di Torino, certamente condizionato dalla pandemia, rappresenta un segnale di allarme che non può essere trascurato. Non ci possiamo permettere, adesso, una scarsa partecipazione che potrebbe condizionare il percorso elettorale”.

Tra gli altri sfidanti di Gualtieri – già soprannominati ‘i nanetti’ delle primarie romane – ci sono Cristina Guarcio, ex consigliera comunale pentastellata che corre per il Psi, la leader dei diritti della comunità Lgbt Imma Battaglia, Tobia Zevi, esponente della comunità ebraica, Paolo Ciani (per Democrazia solidale-Demos) e Stefano Fassina, il solo dalla caratura nazionale (è deputato di LeU), oltre a Caudo.

Giovedì sera, in ogni caso, scadrà il termine per registrarsi alla piattaforma per votare on line (si accede tramite e Spid e versando un contributo di 2 euro). Domenica sera, il risultato dell’affluenza.

Il vincitore affronterà la sindaca uscente del M5s, Virginia Raggi, il duo Michetti-Matone per il centrodestra e il leader di Azione, Carlo Calenda, che gira la città da mesi e vola alto nei sondaggi.

A Bologna le sole primarie ‘vere’ ma ‘strane’

Anche a Bologna il centrosinistra sceglierà il proprio candidato domenica prossima. La sfida vede uno scontro al fulmicotone tra l’assessore uscente della giunta Merola, Matteo Lepore, sostenuto dallo stato maggiore del Pd (Letta in testa), oltre che dal ‘partitone’ bolognese, e che ha ricevuto anche l’appoggio di Romano Prodi, e la sindaca di San Lazzaro di Savena Isabella Conti, indipendente, ma vicina a Italia viva, e appoggiata anche da alcuni esponenti dem. Innanzitutto, l’area di Base riformista, gli ex renziani rimasti nel Pd, diversi assessori uscenti (Alberto Aitini e Marco Lombardo), i prodiani (in testa a tutti Andrea Papini), l’europarlamentare Isabella Gualmini e altre aree dem non ortodosse, ma anche ambienti centristi e della società civile.

Il Movimento 5 Stelle, attraverso un intervento diretto di Giuseppe Conte, ha annunciato, in modo assai improprio, che sosterrà Lepore. La stessa cosa annuncia che farà la sinistra radicale, Sardine in testa. Resta da vedere cosa succederà se dalle primarie dovesse uscire vincitrice Conti. In quel caso l’appoggio del M5S salterebbe, quello della sinistra radicale anche e molti pezzi del Pd locale ‘ortodosso’ potrebbero boicottarla. La stranezza delle primarie bolognesi, dunque, è che indicheranno una coalizione a geometria variabile che si formerà solo dopo il risultato: se vince Lepore sarà in un modo, se Conti un altra. Una cosa sola è certa: le primarie, almeno a Bologna, saranno partecipate quanto combattute. Sul fronte di centrodestra, infine, regna ancora l’incertezza. Sul tavolo ancora diversi nomi, ma nessuna scelta: tra i favoriti, il senatore di FI Andrea Cangini e l’editore Roberto Mugavero.

Milano e Napoli, dove le primarie non si fanno

A Milano risale ormai al dicembre scorso la ricandidatura del sindaco uscente, Beppe Sala, sostenuto dal centrosinistra. Il M5S deve ancora decidere come muoversi. Giuseppe Conte sta lavorando per trovare un’intesa che porti ad un sostegno a Sala fin dal primo turno, ma le resistenze in loco sono molto forti e si preferisce puntare su una candidatura ortodossa. Qui, però, per fortuna del Pd (e di Sala), è il centrodestra a navigare in cattive acque. Sfumato il tentativo di convincere l’ex sindaco Gabriele Albertini a tornare in pista, ora i vertici della coalizione devono scegliere un nome dal mazzo. In corsa sono rimasti Oscar di Montigny, Gian Vittorio Zuccotti, Maurizio Dallocchio e Maurizio Lupi. La decisione definitiva è attesa questa settimana.

A Napoli, infine, il quadro è molto più chiaro. È l’unica città dove c’è un accordo formalizzato tra Pd e M5S. Ieri Conte si è presentato al fianco del candidato del Pd, Gaetano Manfredi, per garantire il suo sostegno all’ex ministro dell’Università. Il centrodestra, invece, si è compattato sul nome del magistrato (ora in aspettativa) Catello Maresca. Da non sottovalutare, però, il ritorno in campo dell’ex sindaco dem Antonio Bassolino, che ha deciso di presentarsi comunque e potrebbe rivelarsi un candidato insidioso, per Manfredi.