Innovazione

Direttiva UE fornitura servizi audiovisivi: cosa hanno detto Rai, Mediaset, Sky, Netflix e Amazon in audizione

15
Settembre 2021
Di Alessandro Cozza

Il mondo dei media audiovisivi negli ultimi sta subendo uno stravolgimento che nessuno si sarebbe immaginato così rapido. Dal cavo al digitale, dalla parabola allo streaming. Oggi la politica torna a mettere mano alle regole che regolano il mercato. La seduta della Commissione Lavori Pubblici al Senato si è riunita nell’ambito dell’esame dell’atto del governo n. 288 per discutere dello schema di decreto legislativo concernente la fornitura di servizi di media audiovisivi. Ad essere auditi dai senatori le principali media companies del settore: Rai, Mediaset, Sky, Discovery, Netflix e Amazon Prime Video.

Ad aprire gli interventi il direttore della Direzione Relazioni Istituzionali della Rai, Stefano Luppi e l’AD di Rai pubblicità Gian Paolo Tagliavia. “Il recepimento della direttiva dei servizi media audiovisivi è un passaggio fondamentale per definire un quadro normativo di riferimento che sviluppi l’intero mercato di riferimento”, sostiene Luppi. “La direttiva stabilisce un principio, ovvero che le emittenti dispongano di maggiori flessibilità per capire quando trasmettere la pubblicità, quindi uno spirito espansivo a sostegno dei bisogni delle aziende, e inoltre non distingue tra operatori privati e pubblici con l’intento di aiutare tutti gli operatori. Noi in questi anni abbiamo sempre applicato il limite del 4%”, afferma Tagliavia che poi propone: “Stante la formulazione del provvedimento, suggeriamo di mantenere la soglia del 7% già prevista per l’anno 2022 e chiediamo che venga mantenuta anche negli anni successivi e introdurre una nuova parte di flessibilità calcolando i limiti giornalieri per giorno per le fasce ma non per canale ma nel complesso dei canali generalisti.”

Proprio su questo ultimo punto il Senatore Margiotta (PD) chiede maggiori delucidaioni: “Ci può spiegare il meccanismo e darci qualche numero?”. “Il bilanciamento va trovato tra il limite orario del 12% e il limite settimanale del 4%. Il 12% orario viene allocato dove ci sono le trasmissioni che hanno più seguito e deve rientrare nel 4% della settimana. Rai e Rai pubblicità stanno gestendo i canali generalisti in maniera separata e trovando un equilibrio tra esigenze commerciali e di palinsesto”, spiega Tagliavia.

Botta e risposta sugli stessi temi anche con il Senatore Mallegni (FI) chiedendo come l’azienda si può porre relativamente alla totalità delle proposte previste dal decreto. “Il decreto agisce su determinate questioni, voi ragionate su quella pubblicitaria, ma c’è anche la questione sugli investimenti, aderite a questa proposta? Un servizio pubblico che riceve 1,8 miliardi l’anno dai cittadini, non potrebbe pensare di rinunciare alla pubblicità?”, chiede senza giri di parole il Senatore. “Riteniamo che la pubblicità sia importante in qualità di servizio pubblico anche a favore delle aziende, è importante che un contesto come la Rai ospiti i messaggi delle aziende. Sull’extragettito che è stato cancellato con l’ultima legge di bilancio e ora in bolletta, la separazione contabile ci dice che le risorse da canone sono insufficienti a coprire i costi dell’emissione del servizio pubblico da qui l’importanza dei canoni pubblicitari”, spiega Luppi.

Sul delicato tema della pubblicità e della sua importanza e è intervenuto anche Stefano Selli, Direttore delle Relazioni Istituzionali Italia di Mediaset S.p.A. “La pubblicità è un elemento che ci permette di avere grandi possibilità. È una risorsa preziosissima che va gestita in maniera consona. Mi chiedo, però, i limiti posti con quali criteri sono stati ragionati?”

Se per le televisioni in chiaro il grande tema è quello della pubblicità, per le Pay Tv i punti focali sono altri. Sky per la quale è intervenuto Marco Valentini, Responsabile Public Policy & European Affairs, Sky Italia. “Alla grande evoluzione degli utlimi anni, Sky ha reagito con coraggio e con nuovi investimenti. La direttiva europea si prefigge l’obiettivo di regolamentare i nuovi player ma rimane una discriminazione tra pay tv e free tv e questa differenza deve essere rivista per una maggiore elasticità e flessibilità. C’è bisogno di una regolazione per eliminare queste asimmetrie, perché altrimenti c’è il rischio che a farne le spese sia la qualità del servizio e questo sarebbe un boomerang per tutti. Se riuscissimo ad aumentare la qualità riusciremmo ad esportare meglio i prodotti e sarebbe un aiuto per il sistema Paese.”

Sulla qualità del prodotto interviene anche Marco Azzani, direttore Prime Video Italy. “Ci sembra che alcune delle decisioni prese non vanno nella direzione di stimolare lo sviluppo del segmento. L’ipotesi del 25% come quota di produzione locale non va esattamente nel senso di stimolare il business e il settore. Così si rischia di escludere le nostre produzioni.”

Qualche perplessità anche da Netflix, come esprime Lucia Carta, Director, Business & Legal Affairs Italy. “Per essere sempre più competitivi sul mercato abbiamo fatto investimenti che hanno impatto sull’indotto.” La posizione del colosso è molto chiara e invita le istituzioni italiane a mettere in campo politiche economiche che possano essere attrattive per chi vuole investire e non respingenti perché altrimenti le grandi multinazionali decideranno di andare a investire altrove.

“Dinanzi all’offerta innovativa che porta nuove opportunità perché bisogna dare un segnale di sfiducia? Cerchiamo un approccio più favorevole”, è l’auspicio di Carta.

Presenti in audizione anche ANICA, Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali, e APA, Associazione Produttori Audiovisivi. A loro il Senatore Mallegni chiede: “Quale potrebbe essere la giusta percentuale degli investimenti? Ci viene chiesto di ridurre la quota di investimento, il numero alternativo delle quote, vorremmo fare una proposta concreta, cosa ci suggerisce per affrontate il parere con equilibrio?”

Alla prima domanda risponde Francesco Rutelli, Presidente ANICA: “E’ chiaro a tutti che queste quote sono troppo alte e dobbiamo cercare di incentivare investimenti. Il pluralismo è fondamentale e dobbiamo fare in modo di incoraggiare la qualità degli investimenti inclusi i diritti che sono patrimonio delle imprese che servono per favorire la creazione di nuovi film e prodotti di animazione.”

Al secondo quesito del Senatore, risponde Giancarlo Leone, Presidente di APA: “Proponiamo di reintrodurre l’ipotesi di alternativa di verifica di diritti secondari. Nel precedente testo c’era un’alternativa. Per le quote di investimento attualmente viene applicato il 15%, questa forcella potrebbe essere eccessiva qualora il mercato sia superiore ad un tot, ma non sappiamo quanti siano gli abbonati.”

La strada verso il nuovo decreto sembra in salita, compito della politica quello di trovare la giusta mediazione rendendo il nostro Paese attrattivo per gli investimenti esteri e in grado di competere al meglio sul mercato internazionale.

 

 

 

Photo Credits: TV Digital Divide