Economia

Studio Assomac: l’Italia resiliente delle tecnologie per calzature, pelletteria e conceria

25
Giugno 2021
Di Redazione

Nei primi mesi di diffusione del virus, con la penuria di mascherine e dispositivi di protezione individuale, l’Occidente ha toccato con mano cosa vuol dire dipendere dalla “fabbrica del mondo”, la Cina. In molti hanno iniziato allora a parlare di reshoring, di riportare vicino a casa, magari in Europa o nel bacino del Mediterraneo, le aziende che producono componenti essenziali, anche nel settore della moda.

Eppure, le ultime analisi ci dicono che per ora poche aziende si sono davvero riavvicinate a casa. Ciononostante, a livello globale ci sono fenomeni che non possono essere sottovalutati: è in atto un enorme cambiamento che le aziende devono saper leggere e, quando possibile, anticipare. Questo è ciò che emerge da “FOCUS Reshoring Mediterraneo ed Europa”, l’ultimo report del centro studi Assomac, l’Associazione Nazionale costruttori tecnologie per calzature, pelletteria e conceria.

Tra i macro-fattori che stanno terremotando le fondamenta della produzione globale, oltre alla pandemia, ci sono la sfida del cambiamento climatico e l’instabilità internazionale, in particolare la crescente rivalità tra USA e Cina, le due superpotenze globali.

Come possono le aziende del nostro Paese, la seconda economia manifatturiera d’Europa, trarre vantaggio da questo momento? Lo studio di Assomac individua due approcci: il primo, collaborativo, prevede di inserirsi nel processo di innovazione dei Paesi che vogliono espandere il proprio mercato interno. In primis la Cina, che da fabbrica del mondo vuole trasformarsi in avanguardia. La moda, l’abbigliamento e le calzature rappresentano infatti un settore sempre più sofisticato, in cui la produzione necessita di know-how, di cui l’Italia dispone.

Il secondo approccio, definito “indipendentista”, consiste nello sganciarsi dalla Cina e dagli altri Paesi da cui dipendiamo: una mossa protezionista a difesa delle catene nazionali. In Occidente c’è infatti sempre più domanda di prodotti personalizzati e unici, soprattutto nella moda.

Il modello tecnologico delle “micro-fabbriche”, vicine ai consumatori finali, può aiutare a vincere questa sfida, avvicinando i prodotti di abbigliamento e calzature ai clienti.

Le microfactory implicano il passaggio da un modello “push”, dove si produce per vendere, a un modello “pull”, in cui è la domanda che tira la produzione. Il processo si lega all’ascesa dell’e-commerce, che richiede tempi di consegna ridotti e, sempre più spesso su input dei consumatori, sostenibilità.

LA SITUAZIONE NEL MONDO

Il report fotografa poi la situazione in alcune delle aree manifatturiere più importanti a livello globale: la Cina ha liberato spazi nei settori dell’abbigliamento e delle calzature per circa 150 miliardi di dollari, ma l’India è stata in grado di accaparrarsene al massimo il 10-15% a causa di dazi troppo alti, normative poco favorevoli e ricerca e sviluppo ancora da evolvere.

Aumentano invece le esportazioni del Sud-est asiatico, in Vietnam, a gennaio 2021, l’indice di produzione di tessuti e capi di abbigliamento è aumentato rispettivamente del 16,6% e del 9,9% rispetto allo stesso periodo del 2020. Anche in Cambogia, in conseguenza delle delocalizzazioni cinesi, crescono esponenzialmente le fabbriche di abbigliamento e calzature.

In Africa, il 1° gennaio 2021 è stato firmato l’African Continental Free Trade Agreement – ACFTA, accordo che istituisce la più grande zona di libero scambio dalla creazione dell’Organizzazione mondiale del commercio: 1,2 miliardi di persone, un prodotto interno lordo stimato in 2.500 miliardi di dollari, 54 paesi firmatari dell’Africa (tutti tranne l’Eritrea). Si stima che il commercio intra-continentale potrà salire almeno a più di $231 miliardi, circa il 22% del commercio africano totale, con importanti conseguenze anche nel settore tessile e della pelle.

 

Redazione

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