Cultura

Cosa ci racconta (anche sulle architetture istituzionali) la vicenda di Filippo d’Edimburgo

12
Aprile 2021
Di Daniele Capezzone

Ha suscitato commozione ben al di là dei confini della Gran Bretagna la notizia della morte di Filippo d’Edimburgo, per oltre 70 anni principe consorte, da sempre tre passi indietro la regina Elisabetta.

L’emozione è stata certamente destata dalla naturale simpatia di questa figura, mirabilmente capace di tenere insieme il massimo dell’eleganza con la capacità di concedersi favolosi lampi di ironia e “scorrettezza”. Per un tempo lunghissimo, ha insegnato a tutti che c’è una misura intermedia tra i due opposti della legnosità insincera e della volgarità truce: è possibile una dimensione terza, capace di sorridere “con” gli altri e non “degli” altri, in grado di abbinare nobiltà d’animo e propensione al sorriso e alla leggerezza, senza con ciò perdere di vista valori, profondità, gravitas.

Su un altro piano, ha certamente ha avuto un peso nell’opinione pubblica mondiale un fattore legato al gossip: sabato si terranno i funerali, e – inutile nasconderlo – c’è attesa curiosa per l’accoglienza che riceverà il nipote Harry, reduce dalla discussa e discutibile performance televisiva con sua moglie Meghan, quella in cui ha lasciato cadere accuse sgradevolissime verso la famiglia Windsor. Su Harry, nel rapporto con sua moglie, c’è da temere che abbia avuto ragione Donald Trump in una fulminante battuta di qualche mese fa: “Gli auguro buona fortuna, ne avrà bisogno”.

Ma non perdiamo il filo. Ci sono altre due ragioni per cui la morte dell’anziano principe Filippo ci ha toccato: una si può dire “in società”, l’altra resta sullo sfondo, taciuta e imbarazzante per alcuni conformisti.

Quella “dicibile” ha a che fare con la vita e la morte. Nessuno può rimanere impassibile davanti alla storia di due persone, pur eccezionali per mille ragioni, che hanno camminato insieme per oltre sette decenni, e che ora sono separate dal destino. Una vignetta del grande Morten Morland sul Sunday Times è davvero commovente, in questo senso: si vede la Regina sola, in piedi, triste e a lutto. Ma dietro di lei non c’è solo la sua stessa ombra, c’è anche l’ombra del marito, una presenza che le resterà in qualche modo a fianco, invisibile e discreta.

Ma veniamo alla ragione “indicibile”, che ha a che fare con la monarchia, cioè con un modello istituzionale radicalmente diverso dal nostro. Da giovane, in modo automatico e quasi inintenzionale, tendevo a immaginare le monarchie (tutte le monarchie) come fenomeni fuori dalla storia, impensabili, retaggi del passato. Ma come: un sovrano per diritto familiare e di sangue?

Certo, da anglofilo convinto, sapevo bene come alcune monarchie fossero state capaci di aiutare il loro paese a resistere agli incubi del Novecento. Eppure, la sensazione di stravaganza (la regina, i principi, il protocollo, eccetera) rimaneva.

Con il passare del tempo, invece, il dubbio ha preso il posto delle certezze. Pensate al funerale di sabato prossimo. Oppure (circostanza opposta) pensate ai matrimoni reali del passato, con le immagini di una coppia di giovani e un paese che vive una giornata di festa, di fiaba, di sorriso.

Dove voglio arrivare? Ovvio che in politica a decidere sia il Parlamento, in base al voto dei cittadini. Dalla Magna Charta in poi, i britannici hanno spiegato al mondo cosa siano le istituzioni rappresentative e quanto sia sana la limitazione del potere. Ma è significativo che, al di là della contesa politica, ci sia un punto (un luogo “simbolico”) capace davvero di esprimere unità, senso di appartenenza e condivisione. Molto più di quanto possano farlo le repubbliche dei partiti, o cariche istituzionali monopolizzate da uomini di fazione, che difficilmente – nonostante la “grazia di stato” – possono essere o apparire o diventare del tutto “terzi”.

E’ evidente che il Regno Unito ha una storia del tutto peculiare, ben diversa da altre monarchie e altre case reali. Ma sarebbe il caso di discutere laicamente anche di questi temi, senza anatemi, senza pregiudizi, senza schemini precostituiti. La storia umana è complessa: perché precludersi la sfida intellettuale di ammirare nel mondo anche architetture istituzionali diverse, e magari imparare qualcosa?

Photo Credits: GQ Italia

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