Economia

Canale di Suez, quando una nave mette in crisi il commercio globale

28
Marzo 2021
Di Jacopo Bernardini

Lavoriamo su Zoom, ordiniamo cibo con un’app, e ovunque esplode l’e-commerce. Ma, in un mondo sempre più rarefatto e digitale, è una nave che all’improvviso si incaglia a paralizzare il commercio globale e a farci toccare con mano tutta la “materialità” dei nostri quotidiani rapporti di scambio.

La nave cargo in questione è la Ever Given: 400 metri di lunghezza (per intenderci: più della Tour Eiffel e poco meno dell’Empire State Building) per 60 e un peso di 220mila tonnellate, gestita dalla società taiwanese Evergreen. Salpata dalla Cina con destinazione Rotterdam, si è arenata martedì all’alba all’imbocco meridionale del Canale di Suez, bloccando una delle rotte commerciali più trafficate al mondo. Evergreen non ha ancora dato una versione definitiva dell’incidente: una prima ricostruzione, però, oltre alla complicità del vento, parla di un blackout elettrico a bordo.

Al momento la nave è bloccata in diagonale, ostruisce il passaggio alle altre navi in coda e sta creando un ingorgo che rischia, a causa di un “effetto catena”, di congestionare i porti di mezza Europa.

Il Canale di Suez, lungo quasi 200km, costruito fra il 1859 e il 1869 per collegare il Mediterraneo all’Asia, è un passaggio chiave delle rotte commerciali, sia per i beni di consumo che per le materie prime. Ogni giorno oltre 50 navi lo attraversano, e si stima vi transiti il 7% del commercio mondiale di greggio e oltre il 10% del commercio globale. In pratica, ci passa tutto ciò che arriva dall’Asia e arriva in Europa. In conseguenza dell’incidente e dei possibili disagi nell’approvvigionamento di petrolio il prezzo del barile sui mercati è salito, superando i 60 dollari. Il blocco interessa da vicino anche l’Italia, che nel Canale di Suez vede transitare ogni anno circa il 40% di tutto il suo import-export marittimo.

Contattata da The Watcher Post, Maersk, azienda danese che rappresenta il più grande armatore di navi mercantili al mondo e principale ‘cliente’ del Canale di Suez con oltre 1100 navi transitate lo scorso anno, ha dichiarato che al momento è difficile stimare per quanto tempo la situazione persisterà. La compagnia sta lavorando duramente per mitigare il più possibile – sia a livello operativo che commerciale – l’impatto dell’incidente, fornendo ai propri clienti informazioni quanto più specifiche sui loro cargo e sulle alternative disponibili. Ventidue navi della flotta danese sono state finora colpite dal blocco, con altre quattro in arrivo oggi. Già quattordici, invece, le navi che sono state reindirizzate, un numero destinato probabilmente ad aumentare nell’attesa che la situazione si sblocchi.

È ovvio che, più la situazione si protrarrà, peggiori per tutti saranno i danni. Bloomberg ha stimato un danno giornaliero di circa 9,6 miliardi di dollari.

L’incidente ci insegna che, nell’epoca del commercio digitale, la geografia continua a contare. E pone al centro dell’attenzione il problema delle catene di approvvigionamento. Una questione di cui ci eravamo già accorti nella primavera scorsa, quando all’improvviso l’Occidente aveva iniziato ad avere disperato bisogno di prodotti di cui scarseggiava, in primis le mascherine.

Non a caso il neo Presidente americano Biden ha dichiarato di voler “fare in modo che il popolo americano non debba mai più affrontare la carenza di beni e servizi su cui fa affidamento, che si tratti delle auto o dei medicinali o del cibo nel negozio di alimentari sotto casa”. In particolare, l’amministrazione americana vuole valutare la tenuta delle catene di approvvigionamento di materiali ‘sensibili’ in settori strategici come sanità, sicurezza nazionale e tecnologia, per evitare, in caso di bisogno, un’eccessiva dipendenza dall’estero.

Una semplice soluzione al problema, però, non esiste: se infatti da un lato le filiere più corte garantiscono un approvvigionamento più sicuro, dall’altro hanno costi di produzione più elevati, a causa del maggior costo del lavoro nei paesi occidentali.

È comunque probabile che nel prossimo futuro le catene del valore si accorceranno e differenzieranno, anche grazie a nuovi accordi di libero scambio. Una delle sfide del mondo post-Covid sarà anche questa: ridisegnare, in un mondo sempre più interconnesso, le filiere commerciali globali, per evitare eccessive dipendenze e minimizzare i rischi e gli shock che possono generare avvenimenti apparentemente banali, come una gigantesca nave che, una mattina di marzo, decide di incagliarsi nel Canale di Suez.

Photo Credits: Lindro.it

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