Politica

Elezioni Ue, un nome per l’Italia. Tecnico o politico purché sia giusto

18
Aprile 2024
Di Giampiero Cinelli

Se Mario Draghi parla da un palco e spiega, con la sua consueta fermezza, quale debba essere il sentiero dell’Europa nei prossimi decenni, è ovvio che quantomeno l’opinione pubblica italiana mostri entusiasmo, interpretando, giustamente, a poco più di un mese dalle elezioni Ue, il manifesto draghiano come una implicita candidatura, o la prova che l’Italia abbia ancora da offrire una figura autorevole alle istituzioni europee.

Possibilissimo che Draghi non voglia candidarsi o non accetterebbe una nomina nella Commissione, anche se non in pochi sperano il contrario, e allora qui si presenta un tema non più tecnico ma tutto sociopolitico, sintetizzato in questa domanda: è giusto lanciarsi già in pronostici sui nomi, senza tenere conto che Draghi non ha in questo momento un mandato popolare, né in Italia né a Bruxelles, e che con tutta probabilità non è tra i personaggi politici che la massa elettorale percepisce come diretti rappresentanti?

Sia ben chiaro, non stiamo dicendo che Mario Draghi non sia all’altezza, anzi, ma Mario Draghi non è una figura partitica e anche in questo caso la sua potenziale elezione, come evidenzia oggi Daniele Capezzone nel suo editoriale su Libero, sembrerebbe avvenire in modo sconnesso dai sentimenti della popolazione, magari desiderosa di vedere ai vertici dell’Ue una persona espressione del governo che hanno votato o comunque membro del parlamento. Questo vale per l’Italia, come pure per gli altri 26 Paesi che andranno alle urne.

Il tema è sacrosanto e l’opinione legittima, eppure necessita di essere messa in un quadro più che mai realistico. La realtà è che l’Unione europea, piaccia o meno, è un’architettura tripartita, in cui l’asse portante purtroppo non è il Parlamento ma la Commissione, a cui pertiene il sostanziale indirizzo legislativo. Un indirizzo su cui l’ultima parola ce l’hanno i membri del Consiglio europeo, ovvero i capi di Stato dei Paesi membri. In tale quadro è chiaro che ogni nazione lavora per avere nei posti apicali figure a sé congeniali, capaci di avere influenza nei processi.

È anche per questo che Macron si è mostrato molto freddo sul tema Draghi in Ue, rimarcando che le nomine si fanno dopo la tornata e non prima. Questo l’articolo di Capezzone lucidamente lo ha evidenziato, ma in tal senso andrebbe anche rilevato che il premier francese prima di consegnare le chiavi a Draghi su un settore fondamentale o anche per la presidenza, voglia valutare. E non c’è da dubitare che anche lui tenga dei nomi nel taschino. Fermo restando, che gli scenari saranno più limpidi una volta formatosi il nuovo parlamento, quando dunque sarà più facile capire, in base alla composizione, dove pende la bilancia.

Basta avere ben presente la questione per rendersi conto che gli aneliti di una democrazia piena, devono articolarsi in una piattaforma complessa fatta di spinte e controspinte e dove il confronto non è solo nazionale. Riuscirebbero i politici italiani ora in voga a spuntarla? Il quesito bisogna porselo con la massima onestà intellettuale. Se neppure Mario Draghi potrebbe caricarsi di tutte le aspettative, va però messo in conto il suo appurato asse con gli Stati Uniti, che se pure, com’è ovvio, non hanno parte in causa nelle elezioni europee, cercano sempre di favorire la dinamica che reputano migliore per loro e per l’Europa, che della potenza americana è satellite, forte e più autonoma rispetto ad altri, ma pur sempre satellite.

Non è insomma un caso se fu proprio Mario Draghi, da presidente della Bce, a inaugurare una stagione di politiche espansive in Ue dopo gli anni dell’austerità imposta da Berlino; Washington osservava e approvava il cambio di passo. Adesso, dopo il Covid e in seguito alla crisi Ucraina, all’Europa serve un’ ulteriore spinta agli investimenti e agli incentivi, rinvigorendo la sinergia tra pubblico e privato, continuando il cammino federativo per contrastare l’ostilità delle potenze asiatiche e con la speranza di arrivare a un meccanismo di coordinamento anche in tema di difesa, che permetta di reagire in modo più veloce alle esigenze del nostro tempo. Anche questo gli Stati Uniti lo auspicano e proprio Mario Draghi lo ha messo nero su bianco nel rapporto che a giugno presenterà integralmente.

Ecco perché, sebbene i banchieri centrali non abbiano mai conquistato le simpatie della gente (del resto non si occupano di mantenere il consenso popolare), una figura come quella di Draghi darebbe sicurezza e un orizzonte all’Italia. Ciò non significa che un altro personaggio, di analoga competenza, magari più “politico”, che riesca ad essere incaricato, non debba essere accolto dal Paese con ottimismo e, soprattutto, con vicinanza anche fosse espressione di una parte diversa da quella dell’elettore. Del resto, non si giocano i destini interni ma quelli della nazione nell’agone europeo, dove sia il nome di Draghi che di chiunque altro dovrebbe essere accettato non solo da Macron, ma anche da Scholz e via via da tutti gli altri.